Per chi non l’avesse fatto, si consiglia di leggere la prima parte e la seconda parte di questa serie di articoli. In questo modo sarà più comprensibile la lettura di questo articolo.
A questo punto del nostro percorso sarà ben chiaro come il cervello acquisisce una lingua straniera (qualunque essa sia) e quanto sia importante rispettare il ruolo dei due emisferi sulla base dei principi di direzionalità e modalità. Sarà anche chiaro che lo studente, secondo il cd. principio di dominanza emisferica, avrà la tendenza ad ostacolare involontariamente il processo di acquisizione. Compito del docente sarà dunque evitare che questo avvenga, lavorando con gli studenti affinche essi, seguendo le direttive dell’insegnante, non frenino i processi naturali in ordine all’acquisizione linguistica.
L’uso attivo della lingua tra produzione orale e produzione scritta
Il tema in questione è, probabilmente, fra gli addetti ai lavori, uno dei più dibattuti. Solitamente liquidate con parole di scherno, la produzione scritta era presente fino alla metà degli anni sessanta del secolo scorso sotto forma di traduzione dall’italiano al latino e addirittura nei corsi universitari di composizione oggi scomparsi, mentre la produzione orale lo era, in classe, fino alla fine del 1800, se non oltre. Il metodo grammaticale-traduttivo ha infatti eliminato nei nuovi studenti (che poi sono diventati docenti) la capacità di produzione linguistica, al punto che essa non è più presa in considerazione durante le ore di lezione. I vantaggi di questo approccio sono però evidenti. In maniera particolare, l’uso permette ai ragazzi di lavorare prima di tutto sulla lingua, di osservarla come mezzo di comunicazione, servendosi prima di tutto dell’emisfero destro del cervello. L’analisi della lingua su un piano grammaticale deve avvenire in seguito, così permettendo l’avvicinamento degli studenti all’obiettivo dell’acquisizione. Numerosi sono gli esercizi che facilitano questo processo, da brevi riassunti a esercizi di domande e risposte su un tema dato (come la descrizione dell’Europa), per passare, ad un livello di poco più avanzato, ai cosiddetti membra disiecta e agli esercizi di amplificazione linguistica. Qui lo studente dovrà unire in un discorso unico una serie di frasi molto semplici, servendosi di congiunzioni, pronomi relativi, participi ed altro. Il docente, soprattutto nelle prime fasi di spiegazione, potrà affrontare gli approfondimenti linguistici e le correzioni grammaticali in italiano per non sovraccaricare gli studenti e permettere loro di comprendere fino in fondo gli errori e di rimediarvi.
Il docente, questo è un punto dolente, dovrà avere un’abilità linguistica assimilabile al livello C1 del Quadro Europeo di Riferimento (evento di estrema rarità nel campo delle lingue classiche), nella produzione sia orale che scritta, senza la quale è molto complicato utilizzare il Metodo induttivo-contestuale.
L’utilizzo di brevi dialoghi in classe (e, ancora di più, di domande secche sul testo letto) permette al docente, in maniera molto veloce, di capire se gli studenti abbiano compreso il contenuto del testo ed assimilato gli argomenti (grammaticali) della lezione. Le risposte degli studenti permetteranno al docente di avere un riscontro immediato circa gli effettivi progressi. La correzione sarà più efficace se lo studente sarà stimolato a riflettere per giungere a trovare l’errore, in una forma di auto-correzione guidata. A questo si potranno aggiungere, come già dicevo, brevi riassunti scritti oppure risposte, sempre scritta, a domande aperte, magari da fare a casa.
L’utilità della differenziazione tra produzione scritta ed orale era ben nota agli Umanisti: la prima, infatti, grazie al maggior tempo a disposizione permette una più accurata riflessione dei fenomeni grammaticali e della struttura della frase, mentre la seconda permette un approccio olistico volto alla comprensione del discorso, e sarà utile per sviluppare una comprensione immediata dei testi che lo studente si troverà, nel corso degli anni, a leggere.
Il tema in questione, per la sua valenza particolare nel campo della didattica delle lingue classiche, avrà presto un articolo dedicato. Per il momento consiglio la lettura degli articoli su Erasmo, Guarino da Verona e John Stuart Blackie, che in epoche diverse facevano dell’utilizzo attivo della lingua una parte fondamentale del loro lavoro di insegnamento.
L’apprendimento delle lingue classiche per prove ed errori
Da sempre l’idea connessa allo studio delle lingue classiche è quella di dovere, impegno costante, difficoltà più unica che rara, banco di prova, in cui il successo significa far parte di un’élite, ed il fallimento, di contro, esserne esclusi. La questione, io credo, dovrebbe cominciare ad essere vista in maniera diversa, e tutti i miti connessi allo studio delle lingue classiche dovrebbero iniziare ad essere, passo dopo passo, disintegrati.
Ciò su cui qui mi voglio soffermare è il concetto di impegno, che da sempre, nelle nostre materie, è connesso a quello di sofferenza, in una tragicomica dicotomia che non può fare a meno di bloccare l’apprendimento. Nessuno vuole studiare (o fare) qualcosa che genera sofferenza. Alla base dello studio dovrebbe esserci il piacere della scoperta delle lingue classiche: il lavoro degli studenti continua ad essere, invece, una sterile e pappagallesca ripetizione di regole e regolette da imparare a memoria. Qui non si parla, sia ben chiaro, di cercare di infondere negli studenti un nuovo appeal per le Lingue Classiche, ma di fare tesoro delle ricerche nel campo della neurolinguistica e psicodidattica per ottenere il maggior coinvolgimento possibile ed i migliori risultati. Le lingue classiche possono essere davvero patrimonio di tutti, non come slogan ossessivo di molti difensori “a parole”, ma nel vero senso del termine, e questo può accadere solo con una didattica diversa ed approcci diversi.
La glottodidattica distingue, nelle motivazioni all’apprendimento (anche linguistico), fra dovere, bisogno e piacere. Per quanto riguarda il dovere, che regna sovrano nella nostra didattica tradizionale (“Per domani imparate a memoria tutti i modi di fare la finale!”), esso non porta all’acquisizione, perché la componente del dovere inserisce un filtro affettivo che fa restare le informazioni nella memoria a medio termine: possono essere buone per il compito dei verbi del giorno dopo, ma dopo alcune settimane saranno svanite.
Il bisogno è una motivazione razionale che, legata primariamente all’emisfero sinistro del cervello, funziona ma presenta due limiti:
- è necessario che il bisogno sia percepito come tale (dallo studente, non dal docente!). È facile farlo percepire per l’inglese, ma riuscirci per il latino ed il greco con un gruppo di quattordicenni ipertecnologici è un’altra storia. Sto parlando di bisogni che siano percepiti come necessari per qualcosa di fruibile, non il classico “impara il latino così capisci le etimologie dell’italiano”. Ricordiamoci che abbiamo a che fare con adolescenti per cui il riconoscimento delle etimologie, in una scala di bisogni, si classifica, se va bene, alla miliardesima posizione. Il bisogno non può essere neppure indotto dal docente, ma deve nascere all’interno dello studente.
- il bisogno, che è qualcosa di personale, funziona solo fino a quando lo studente sente di averlo soddisfatto, e questo livello si colloca di solito ben al di sotto del livello-soglia.
Ben oltre il dovere ed il bisogno c’è il piacere.
Si tratta di una motivazione essenzialmente legata all’emisfero destro, ma che può coinvolgere l’emisfero sinistro, trasformandosi in un’arma potentissima. Il piacere personale dell’acquisizione può andare ben oltre i risultati di un compito in classe ed è una emozione legata a progetti di ampio respiro ed alle tattiche quotidiane, che devono essere sempre sostenute dall’insegnante. Tale piacere può crearsi per mezzo di sensazioni piacevoli e diverse, come il piacere di apprendere, che è una sensazione primaria, e che viene annullata dal fallimento. Ciò significa che le attività devono essere fattibili e gli errori devono essere considerati naturali. Far sentire l’errore come fallimento, induce l’annullamento della motivazione, mentre sbagliare può essere accettabile se l’errore è studiato con l’insegnante e se l’insegnante stesso fa comprendere allo studente che l’apprendimento linguistico è un processo che procede per prove ed errori.
Vi è poi il piacere dell’insolito, della novità, dell’imprevisto: fornire esempi strani da cui recuperare le informazioni grammaticali, lasciarsi andare in battute che rilassino la classe o in racconti della propria esperienza personale con l’apprendimento delle lingue classiche, o ancora fornire esercizi di traduzione che contengano frasi “non convenzionali”, elettrizza la classe e genera piacere.
Ancora, il piacere aumenta, inoltre, con la varietà didattica: il corso non deve essere monotono, non deve prevedere sempre gli stessi esercizi o le stesse attività: questo approccio annulla la motivazione.
A questi piaceri si aggiunge il piacere della sistematizzazione: è un piacere estremamente forte, di tipo formale, che coinvolge l’emisfero sinistro. Si attua facendo scoprire (almeno in parte) la grammatica, anziché insegnandola. Un adolescente sente inoltre il bisogno della sistematizzazione linguistica, e questa non deve in nessun modo essergli sottratta, perché lo studente sentirà offesa la sua maturità cognitiva.
In classe, in alcune occasioni, è possibile creare una competizione tra studenti, proponendo parole crociate, indovinelli, giochi in latino e in greco, generando il piacere della sfida, altro tassello che può favorire l’acquisizione.
È interessante osservare la distinzione che intercorre tra dovere e senso del dovere: esso porta, ad esempio, lo studente a fare attività contrarie alla propria personalità, fidandosi del docente, e questo produrrà piacere. Lo studente infatti comprende che il docente propone attività ed esercizi con il solo scopo di ottenere l’acquisizione, ed anche se non comprenderà fino in fondo dove il docente voglia arrivare, lo seguirà con senso del dovere.
Il regista dell’acquisizione linguistica
Da quanto ho scritto in questo e negli altri articoli, si può comprendere che il docente non può essere più il magister di gentiliana memoria, ma dovrà essere un regista, che, da dietro le quinte, guidi i veri attori dell’apprendimento, gli studenti, seguendoli passo dopo passo, riprendendoli, incoraggiandoli.
Gli esercizi che il regista potrà mettere in atto, seguendo le linee dettate dalla glottodidattica, ricordando che l’acquisizione migliora con la varietà didattica, sono molteplici, ed alcuni di essi sono già stati qui specificati: molto utile, e pochissimo preso in considerazione, è l’apprendimento cinesico, che garantisce ottimi risultati nell’acquisizione, ad esempio, dei complementi di luogo. Scrivere cartelli con nomi di città e chiedere ad uno studente di dirigersi ai vari cartelli dicendo ad alta voce dove sta andando (“Romae sum… Nunc Tusculum eo… Florentia venio”) è un lavoro molto stimolante e dai risultati molto più stabili del classico “per i nomi di città e piccoli isola lo stato in luogo va al locativo… etc etc…”. Questa parte sarà sistematizzata in seguito, rispettando il processo di apprendimento linguistico del cervello. Lo stesso si può fare con le preposizioni (“Marcus ad cubiculum it… a villa venit… in ludo est”, etc…). Sulle strategie didattiche da mettere in atto in classe è in preparazione un articolo dedicato.
Ho conosciuto, ahimé, docenti che sono soliti sbeffeggiare gli studenti per errori, denigrandoli davanti alla classe; ho avuto a che fare con docenti che tengono la loro prima lezione di greco su parossitone, properispomene, perispomene, giusto perché “così gli studenti capiscono subito con chi hanno a che fare”. Altri tengono, per un mese, gli studenti del primo anno a studiare le radici dell’indoeuropeo. So di docenti che, il primo giorno, guardando la classe, hanno affermato: “Accidenti! Siete in 30! Tranquilli, l’anno prossimo sarete la metà.” Docenti di questo tipo, li conosciamo tutti. Non credo che questo comportamento paghi in termini di risultati, mettendo in atto un clima di terrore che è ben opposto a quella logica del piacere di cui parlavamo poc’anzi, e per cui il docente si deve ritenere unico responsabile: occorre un cambio di rotta. Come dicevo, occorre prima di tutto separare i concetti di impegno e sofferenza. L’impegno può essere presente senza che si generi sofferenza, ed anzi, in questo modo, porterà frutti di gran lunga migliori. Molti pensano che le cose che scriviamo in questi articoli siano infattibili in una classe. Molti docenti, oltre al sottoscritto, si servono di queste tecniche, e sono esseri umani come tutti gli altri. Non ci possono essere ulteriori “alibi”: per cambiare, occorre volerlo. Tutto qui. Se non si cambia è unicamente perché si decide di non prendere in considerazione le ricerche scientifiche a riguardo (che non sono opinioni).
Detto questo, occorre dare finalmente una risposta degna a quella domanda che perseguita ogni docente di latino e greco: “Perché studiare, oggi, il latino ed il greco?”. Tenteremo di formulare una risposta sensata a questa domanda nel prossimo articolo.
Giampiero Marchi
Bibliografia
– Paolo E. Balboni: “Le sfide di Babele”, Utet 2012
– L. Miraglia: “Latine Doceo”, ed. Vivarium Novum
– F. Roscalla: “Arche Megiste. Per una didattica del greco antico”, Ed. ETS 2009
In effetti,con l’esigenza di rispondere al “perché studiare oggi le lingue classiche” ,ci imbattiamo nell’implicita domanda (che i ragazzi si pongono certamente all’inizio di ogni apprendimento),perché studiare una lingua che non si parla,e quindi non serve alla comunicazione viva e presente:si apprende una lingua non per fare i filologi che indagano le scritture depositate su qualche supporto in tempi diversi dall’atto del parlare ,ma per comunicare oralmente nelle mille situazioni esistenziali che ci sono date .Offuscata la fondamentale esigenza della comunicazione,la lingua rinnega se stessa.Metodi, per quanto efficaci possano essere ai fini dell’apprendimento,non serviranno ad elaborare quello che definisco il lutto vero e proprio,che aleggia sulla “lingua morta”.Cosa dovrà succedere,dopo che avremo raggiunto la soddisfazione del suo apprendimento col migliore dei metodi possibili supportati dalla neurolinguistica?
Parleremo da pari a pari sui muti testi con Lucrezio e Cicerone?E disquisiremo di ciò con gli amici filologi?Questa domanda,che dovrebbe trovare risposta piena e sincera prima di risolvere
problemi didattici,meriterebbe la priorità.E penso che le risposte debbano essere cercate nello stesso ambito in cui dobbiamo cercare o riscoprire il valore della cultura occidentale, e non solo.Naturalmente la sfida passa attraverso la lingua che veicola i valori della cultura,e per questo riguarda prima di tutto le lingue classiche.
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