Il vero problema del latino è che l’avete studiato tutti

Introduzione

Il latino è un patrimonio culturale condiviso, un bene comune. Come un grande monumento del passato, è stato osservato e studiato da generazioni, diventando parte del bagaglio culturale di molti. Ma è proprio questa diffusione a portare a un paradosso interessante: se tutti hanno studiato latino, tutti pensano di poterne parlare, soprattutto per quanto riguarda la didattica e l’insegnamento della materia. Molte persone che hanno studiato latino al liceo si sentono legittimate a discutere di metodi di insegnamento, senza comprendere la complessità che comporta un insegnamento realmente efficace della lingua, mentre non pochi docenti, con una forte preparazione contenutistica, confondono questa con la didattica della materia.

Questo fenomeno non è esclusivo del latino; è un problema comune anche ad altre scienze sociali. Tuttavia, questo non accade in ambiti come le scienze matematiche e tecnologiche. In questi campi, la percezione comune è che l’esperienza personale non sia sufficiente per formulare giudizi validi. Le discipline matematiche e tecnologiche richiedono una competenza specifica e una formazione rigorosa, e questo è generalmente riconosciuto dalla società. Nessuno si sente legittimato a discutere di teoria dei numeri o di ingegneria del software solo perché ha studiato matematica al liceo o ha utilizzato un computer. Questa differenza di atteggiamento riflette una maggiore consapevolezza del fatto che, per padroneggiare tali discipline, è necessario un livello di competenza formale che va oltre l’esperienza personale. Questo rispetto per la specializzazione manca spesso nelle scienze sociali, nella scuola, nell’insegnamento del latino, dove la conoscenza viene percepita come più accessibile a tutti, creando un profluvio di pareri comuni, tutti legittimati.

Miti sull’utilità del latino

Tutti, ad esempio, sembrano voler dire la loro sul motivo per cui si dovrebbe studiare il latino, spesso citando la ‘forma mentis’ che fornirebbe agli studenti. Tuttavia, non esiste uno studio che dimostri chiaramente una correlazione tra lo studio del latino e un effettivo sviluppo della ‘forma mentis’, rendendo tali affermazioni più un luogo comune che una verità scientificamente fondata. Lo stesso dicasi per quanti affermino che chi studia latino va meglio a Ingegneria. Non c’è nessuno studio che dimostri una causa-effetto.

I modelli poi didattici più comuni si limitano troppo spesso agli “almeno…”: almeno gli studenti imparano la grammatica, almeno vanno meglio in matematica, almeno adottoano la “forma mentis” (sic!). Non ce n’è uno che poi si chieda: “Ma questi studenti, poi, il latino, lo sanno?”

Molti parlano così per esperienza personale che, per quanto interessante, non fa però statistica: solo esperimenti in doppio cieco o i cui risultati e l’iter sono attentamente monitorati possono davvero fornire prove valide sull’efficacia di un approccio educativo.

Opinioni e competenze didattiche

E così, chiunque abbia avuto un’esperienza personale con il latino, magari attraverso gli anni di scuola, si sente autorizzato a esprimere opinioni sul miglior metodo per insegnarlo (quando non si arriva ai casi limite in cui si propongano le pene corporali, affermazioni che meriterebbe una seria analisi medica), senza avere una formazione specifica in didattica. Questo fenomeno è simile a quanto accade con altre discipline sociali, come la psicologia o la pedagogia, che spesso diventano argomenti di discussione comune per il semplice fatto che “tutti viviamo la vita”. È come se tutti fossero laureati all'”Università della Vita” e, quindi, in grado di dare consigli su come funziona la mente umana, la società o l’insegnamento delle lingue, per il fatto di averne avuto esperienza personale. Questa democratizzazione della parola, se da un lato può sembrare positiva, dall’altro rischia di svalutare il valore della competenza.

Basti pensare a come si parla del latino sui social: molte persone hanno un’opinione sul latino solo perché lo hanno studiato a scuola, e questo è sufficiente per ergersi a esperti della materia e delle migliori pratiche didattiche. Il risultato è un appiattimento dei commenti e delle opinioni. La cosa più grave è che spesso non si distingue il parere di un docente da quello di un non esperto, poiché i toni e le argomentazioni sono identici. Questo fenomeno evidenzia una problematica importante: da un lato, l’opinione del singolo che, pur non essendo realmente esperto, ritiene legittimo intervenire, dall’altro, la scarsa formazione in didattica dei docenti stessi, che spesso non possiedono gli strumenti pedagogici necessari per differenziarsi nel dibattito pubblico. Così, nonostante la conoscenza approfondita della materia, la mancanza di competenze didattiche rende il docente non più preparato del non esperto quando si tratta di affrontare la didattica su un piano più professionale e scientificamente fondato, con l’uso di dati, testi e studi.

La complessità dell’insegnamento

È importante ricordare che insegnare è un’abilità complessa, che va oltre la semplice trasmissione di informazioni. Richiede la capacità di motivare, coinvolgere e adattare i contenuti al contesto e al pubblico specifico. La didattica efficace richiede quindi non solo una profonda conoscenza della materia, ma anche una consapevolezza delle metodologie educative e delle tecniche psicologiche per l’apprendimento. Ignorare questi aspetti equivale a trascurare la parte più significativa dell’insegnamento: la relazione tra docente e discente e il processo attraverso cui la conoscenza viene realmente interiorizzata. Questo aspetto fondamentale, purtroppo, viene spesso tralasciato, relegando la didattica a una competenza secondaria, quasi accessoria.

Necessità di aggiornamento continuo

Questo problema può essere paragonato a un chirurgo laureato che utilizza tecniche, strumenti e teorie di fine Ottocento per operare. Vi fareste operare da un chirurgo che non ha mai aggiornato le proprie competenze, rivisto i suoi strumenti o che considera le nuove metodologie superflue, specie se comprovate da studi scientifici?

Allo stesso modo, l’aggiornamento continuo è fondamentale per i docenti di latino, affinché possano offrire agli studenti un’esperienza di apprendimento coinvolgente e adatta ai tempi moderni. Purtroppo, molti docenti insegnano ancora con metodi obsoleti, senza aggiornare le loro tecniche didattiche, e questo ha un impatto negativo sulla qualità dell’insegnamento e sulla capacità di coinvolgere gli studenti. L’insegnamento del latino rischia di diventare un’attività puramente mnemonica, che manca di qualsiasi connessione con la realtà e con i dati in nostro possesso.

Un approccio didattico diverso?
No, semplicemente mettersi in discussione

L’insegnamento dovrebbe invece puntare a sviluppare abilità critiche e competenze trasversali che possano essere applicate in contesti diversi. Se l’insegnamento del latino continua a essere esclusivamente un esercizio di traduzione e memorizzazione di regole grammaticali, perde gran parte del suo potenziale formativo. Un approccio didattico moderno dovrebbe includere attività che stimolino il pensiero critico, il lavoro di gruppo e la capacità di affrontare problemi complessi, certo, ma anche arrivare a conoscere e gustare davvero quella materia: solo questa conoscenza globale permette di fare il salto di qualità. Per fare questo è però necessario che anche il docente riveda le sue posizioni in maniera non solo autocritica, ma anche fondata su dati di ricerca.

Ciò che manca non è la conoscenza della materia, ma la capacità di trasmetterla in modo efficace. A livello universitario, la formazione dei docenti è spesso incentrata sui contenuti disciplinari, mentre l’aspetto pedagogico è relegato a corsi post-laurea, considerati opzionali o di minor valore. Questo porta alla percezione che la didattica sia una sorta di aggiunta superficiale, un “orpello pedagogico” che non merita la stessa attenzione del contenuto disciplinare. Tuttavia, questa carenza si riflette nella qualità della discussione pubblica sul latino e sull’insegnamento in generale. La didattica non è un semplice accessorio, ma dovrebbe essere parte integrante della preparazione di ogni insegnante, al pari della conoscenza della disciplina.

“Scientificare” l’insegnamento del latino*

Il danno è ormai stato fatto, ma a ben guardare, dalla struttura dei percorsi universitari: molti docenti si considerano ‘completi’ già al termine del percorso di laurea, valutando la propria preparazione esaustiva. Qualunque percorso di formazione successivo viene spesso visto come superfluo, se non addirittura come una perdita di tempo. Questa percezione limita enormemente la possibilità di innovare davvero l’insegnamento del latino e di renderlo vivo e accessibile agli studenti, ma soprattutto di affrontare la didattica come scienza. Innovare la didattica significa anche essere disposti a mettere in discussione i propri metodi e ad accettare che esistono nuove ricerche e nuovi strumenti che possono migliorare l’efficacia dell’insegnamento. Significa riconoscere che la formazione è un processo continuo, che non si esaurisce con la laurea.

La necessità di un cambiamento culturale

Infine, emerge una questione cruciale: l’impossibilità di criticare la classe docente sui contenuti. In un sistema in cui la conoscenza disciplinare è l’unico parametro di valutazione, la didattica non ha spazio per essere messa in discussione. Un sistema più equilibrato, che consideri anche le competenze didattiche e metodologiche, potrebbe migliorare significativamente la qualità dell’insegnamento del latino, permettendo un approccio più dinamico e centrato, capace di adattarsi alle esigenze degli studenti, di coinvolgerli realmente, proprio grazie alle ricerche, il cui studio, per quanto comunque complesso, è un supporto e non un ostacolo. L’attuale situazione perpetua invece una condizione in cui è difficile promuovere un reale miglioramento del metodo d’insegnamento, poiché la critica è vista come un attacco personale e non come uno stimolo alla crescita professionale. Senza contare che, fintanto che l’approccio sarà quello dell’uomo comune, in materia di didattica, allora è giusto che il non-esperto pretenda di dire la sua.
In parole ancora più chiare, sono spesso i docenti che si pongono al livello di competenza didattica del non esperto, non il non esperto che si erge al livello dei docenti.


Così, solo attraverso un cambiamento culturale, che riconosca il valore della didattica al pari della conoscenza disciplinare, sarà possibile superare queste barriere e offrire un insegnamento del latino che sia davvero serio e qualificato, e che permetta un confronto coi docenti che vada oltre il “lei non sa chi sono io”.

Conclusione

Il vero problema del latino è che, essendo stato studiato da molti, pochi comprendono, anche fra i docenti, che insegnarlo è una disciplina a sé stante, che richiede competenze specifiche e un approccio consapevole. Finché la didattica sarà considerata un aspetto secondario, il latino continuerà a essere una lingua morta non solo nelle parole, ma anche nell’approccio educativo. È necessario un ripensamento profondo del ruolo del docente (a partire dalla formazione universitaria), che non deve essere solo un esperto della materia, ma anche un esperto  dell’apprendimento, capace di adattare i contenuti al contesto e di creare un ambiente stimolante per gli studenti. Solo così il latino potrà tornare a essere una lingua viva, capace di parlare agli studenti di oggi e di arricchirne davvero la formazione.

Giampiero Marchi
Direttore
Centro Nazionale di Studi Classici
Ente accreditato dal Ministero dell’Istruzione per la formazione docenti

* ho utilizzato appositamente il verbo “scientificare” per permettere a quanti lo desiderino di guardare il dito anziché la Luna.

https://percorsi.grecolatinovivo.it

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