Leggere il Giappone in latino: un’indagine tra alterità, linguaggio e rappresentazione

Oltre il canone: perché ampliare le letture classiche

Nel panorama degli studi classici, spesso dominato dalla reiterazione di autori canonici e di testi che rispecchiano esclusivamente l’universo culturale romano o greco, l’introduzione di voci e materiali che si collocano ai margini del canone tradizionale appare non solo auspicabile, ma necessaria. La latinità, come realtà storica e linguistica, ha avuto una diffusione ben più ampia della sola Roma imperiale o della sua continuità culturale nei secoli successivi: ha raggiunto territori, popoli, fenomeni storici e religiosi che esulano dalla classicità propriamente detta. In tal senso, aprire il corpus di letture a testi che documentano il rapporto con l’alterità extraeuropea, come accade nel caso del Giappone cinquecentesco raccontato in latino, significa decostruire una visione autoreferenziale della cultura classica. Significa anche restituire alla lingua latina la sua funzione storica di strumento di mediazione, di descrizione del nuovo, di costruzione del sapere. Non si tratta, dunque, di ampliare il repertorio in senso quantitativo, ma di riformularlo qualitativamente, includendo prospettive che sfidano la linearità della tradizione e che offrono nuovi spunti di riflessione critica, storica, linguistica e antropologica.

La lettura di fonti latine autentiche che documentano l’incontro con culture extraeuropee costituisce un’opportunità analitica e culturale di primaria rilevanza. Tra questi documenti, il dodicesimo libro delle Historiarum Indicarum, composto nella seconda metà del XVI secolo, riveste un ruolo cruciale nel fornire una narrazione del Giappone destinata a un pubblico colto europeo, attraverso il filtro della lingua latina e di categorie concettuali occidentali.

L’altro come costruzione retorica

Questi testi non vanno considerati soltanto come reperti storiografici, ma piuttosto come dispositivi retorici e cognitivi attraverso i quali una civiltà cerca di descrivere e al tempo stesso comprendere un’altra. La lettura del Giappone in latino consente di esaminare non solo il contenuto informativo, ma anche i meccanismi con cui l’altro viene costruito, rappresentato, legittimato o delegittimato. La questione non è soltanto “che cosa” viene detto, ma “come” lo si dice, e quale posizione assume il soggetto enunciante rispetto all’oggetto descritto.

Un’alternativa ai percorsi consueti

La proposta di testi come il dodicesimo libro delle Historiarum Indicarum costituisce un’alternativa concreta e feconda alla lettura dei soliti autori canonici della latinità, i quali, per quanto fondamentali, non sempre permettono di sondare i margini della lingua e della cultura latina in modo dinamico e interdisciplinare. L’incontro con testi nati per descrivere l’altro, per raccontare il mondo non europeo, permette allo studente universitario di confrontarsi con un latino che esce dai confini scolastici e affronta l’ignoto: un latino che si reinventa per descrivere l’inedito, che incorpora lessico tecnico, descrittivo, etnografico, e che rende visibile il funzionamento retorico e ideologico della lingua. Questa apertura offre un terreno fertile per ripensare il curriculum universitario delle discipline classiche alla luce di una maggiore attenzione ai contesti extraeuropei, alle dinamiche di potere nella rappresentazione e alla versatilità del latino come strumento descrittivo e cognitivo.

Analisi linguistica e traduzione simbolica

Dal punto di vista analitico, l’indagine si concentra su vari livelli di significato. In che modo si struttura la descrizione dell’altro? Quali strategie semantiche e sintattiche vengono adottate per rendere concetti estranei all’universo europeo? Come viene trattata la distanza culturale? La narrazione della cerimonia del tè, ad esempio, può essere letta come una forma di traduzione simbolica, in cui la grammatica latina si piega per accogliere un rituale profondamente diverso dai codici europei. Il discorso sull’abbigliamento, sui colori, sulla lingua e sulla scrittura giapponese rivela scelte lessicali che oscillano tra l’analogia e l’esotizzazione, tra il tentativo di comprendere e la necessità di classificare.

Cibi confecti in pyramidem exstruuntur, auro conspersi, cupressinis ramulis ad gratiam prominentibus
Convivandi ac propinandi multas habent leges cum ritibus exquisitis: hasce cuncti diligenter observant.

Pietro Maffei, Historiarum indicarum, XVI

Identità e narrazione dell’alterità

Sul piano culturale, questi testi si rivelano strumenti preziosi per riflettere sulla costruzione dell’identità europea attraverso la narrazione dell’altro. La rappresentazione del Giappone del Cinquecento non è mai neutra: riflette pregiudizi, meraviglia, giudizi morali, tentativi di assimilazione simbolica. Si tratta, in definitiva, di una forma di autorappresentazione mediata. Studiare queste fonti permette di comprendere il ruolo della lingua latina come veicolo di potere epistemico e simbolico, e al tempo stesso di analizzare criticamente il dispositivo narrativo che consente all’Europa di “pensare” il resto del mondo all’interno di una griglia culturale propria.

Una lezione attuale

In un’epoca contemporanea segnata da un crescente clima di chiusura, di ostilità nei confronti dell’alterità, di politiche identitarie sempre più escludenti, il valore formativo di queste letture risulta evidente. Recuperare la voce latina che racconta il mondo altro può costituire un atto di resistenza culturale, capace di rimettere al centro l’ascolto, il confronto e l’intelligenza critica. In questo senso, l’uso universitario di tali testi non è un vezzo erudito, ma una pratica che affonda le sue radici in un’etica della conoscenza fondata sulla complessità e sul dialogo.

Il latino, inteso non come lingua morta ma come lingua che ha dato voce all’alterità, può ancora oggi offrire strumenti concettuali per interpretare il presente. Leggere questi testi, dunque, non è solo un esercizio accademico: è un’opportunità di pensiero, un invito a ridefinire le coordinate del nostro sguardo sull’altro e, di riflesso, su noi stessi.

Oltre il canone: perché ampliare le letture classiche

Nel panorama degli studi classici, spesso dominato dalla reiterazione di autori canonici e di testi che rispecchiano esclusivamente l’universo culturale romano o greco, l’introduzione di voci e materiali che si collocano ai margini del canone tradizionale appare non solo auspicabile, ma necessaria. La latinità, come realtà storica e linguistica, ha avuto una diffusione ben più ampia della sola Roma imperiale o della sua continuità culturale nei secoli successivi: ha raggiunto territori, popoli, fenomeni storici e religiosi che esulano dalla classicità propriamente detta. In tal senso, aprire il corpus di letture a testi che documentano il rapporto con l’alterità extraeuropea, come accade nel caso del Giappone cinquecentesco raccontato in latino, significa decostruire una visione autoreferenziale della cultura classica. Significa anche restituire alla lingua latina la sua funzione storica di strumento di mediazione, di descrizione del nuovo, di costruzione del sapere. Non si tratta, dunque, di ampliare il repertorio in senso quantitativo, ma di riformularlo qualitativamente, includendo prospettive che sfidano la linearità della tradizione e che offrono nuovi spunti di riflessione critica, storica, linguistica e antropologica.

La lettura di fonti latine autentiche che documentano l’incontro con culture extraeuropee costituisce un’opportunità analitica e culturale di primaria rilevanza. Tra questi documenti, il dodicesimo libro delle Historiarum Indicarum, composto nella seconda metà del XVI secolo, riveste un ruolo cruciale nel fornire una narrazione del Giappone destinata a un pubblico colto europeo, attraverso il filtro della lingua latina e di categorie concettuali occidentali.

L’altro come costruzione retorica

Questi testi non vanno considerati soltanto come reperti storiografici, ma piuttosto come dispositivi retorici e cognitivi attraverso i quali una civiltà cerca di descrivere e al tempo stesso comprendere un’altra. La lettura del Giappone in latino consente di esaminare non solo il contenuto informativo, ma anche i meccanismi con cui l’altro viene costruito, rappresentato, legittimato o delegittimato. La questione non è soltanto “che cosa” viene detto, ma “come” lo si dice, e quale posizione assume il soggetto enunciante rispetto all’oggetto descritto.

Un’alternativa ai percorsi consueti

La proposta di testi come il dodicesimo libro delle Historiarum Indicarum costituisce un’alternativa concreta e feconda alla lettura dei soliti autori canonici della latinità, i quali, per quanto fondamentali, non sempre permettono di sondare i margini della lingua e della cultura latina in modo dinamico e interdisciplinare. L’incontro con testi nati per descrivere l’altro, per raccontare il mondo non europeo, permette allo studente universitario di confrontarsi con un latino che esce dai confini scolastici e affronta l’ignoto: un latino che si reinventa per descrivere l’inedito, che incorpora lessico tecnico, descrittivo, etnografico, e che rende visibile il funzionamento retorico e ideologico della lingua. Questa apertura offre un terreno fertile per ripensare il curriculum universitario delle discipline classiche alla luce di una maggiore attenzione ai contesti extraeuropei, alle dinamiche di potere nella rappresentazione e alla versatilità del latino come strumento descrittivo e cognitivo.

Analisi linguistica e traduzione simbolica

Dal punto di vista analitico, l’indagine si concentra su vari livelli di significato. In che modo si struttura la descrizione dell’altro? Quali strategie semantiche e sintattiche vengono adottate per rendere concetti estranei all’universo europeo? Come viene trattata la distanza culturale? La narrazione della cerimonia del tè, ad esempio, può essere letta come una forma di traduzione simbolica, in cui la grammatica latina si piega per accogliere un rituale profondamente diverso dai codici europei. Il discorso sull’abbigliamento, sui colori, sulla lingua e sulla scrittura giapponese rivela scelte lessicali che oscillano tra l’analogia e l’esotizzazione, tra il tentativo di comprendere e la necessità di classificare.

Identità e narrazione dell’alterità

Sul piano culturale, questi testi si rivelano strumenti preziosi per riflettere sulla costruzione dell’identità europea attraverso la narrazione dell’altro. La rappresentazione del Giappone del Cinquecento non è mai neutra: riflette pregiudizi, meraviglia, giudizi morali, tentativi di assimilazione simbolica. Si tratta, in definitiva, di una forma di autorappresentazione mediata. Studiare queste fonti permette di comprendere il ruolo della lingua latina come veicolo di potere epistemico e simbolico, e al tempo stesso di analizzare criticamente il dispositivo narrativo che consente all’Europa di “pensare” il resto del mondo all’interno di una griglia culturale propria.

Una lezione attuale

In un’epoca contemporanea segnata da un crescente clima di chiusura, di ostilità nei confronti dell’alterità, di politiche identitarie sempre più escludenti, il valore formativo di queste letture risulta evidente. Recuperare la voce latina che racconta il mondo altro può costituire un atto di resistenza culturale, capace di rimettere al centro l’ascolto, il confronto e l’intelligenza critica. In questo senso, l’uso di tali testi non è un vezzo erudito, ma una pratica che affonda le sue radici in un’etica della conoscenza fondata sulla complessità e sul dialogo.

Il latino, inteso non come lingua morta ma come lingua che ha dato voce all’alterità, può ancora oggi offrire strumenti concettuali per interpretare il presente. Leggere questi testi, dunque, non è solo un esercizio accademico: è un’opportunità di pensiero, un invito a ridefinire le coordinate del nostro sguardo sull’altro e, di riflesso, su noi stessi.

Terra Japonia: un corso delicato

Dal 14 luglio, il Centro Nazionale di Studi Classici propone un corso breve che ruota attorno a questi testiTerra Japonia non è soltanto una serie di lezioni su un autore o su un periodo: è un progetto formativo che si muove tra rigore filologico e apertura interculturale. La delicatezza del corso risiede nel suo equilibrio: tra la distanza linguistica e la vicinanza umana, tra l’esotismo dell’oggetto e la profondità dello sguardo che lo racconta. In un’epoca segnata da semplificazioni e polarizzazioni, Terra Japonia chiede tempo, ascolto e attenzione. Invita a entrare in un’altra cultura senza giudicarla, attraverso la lingua che per secoli ha cercato di dare forma al pensiero europeo, parlando di un altrove, che interroga profondamente il nostro modo di vedere, di leggere e di tradurre il mondo.



Giampiero Marchi
Direttore
Centro Nazionale di Studi Classici GrecoLatinoVivo
Ente Accreditato dal Ministero dell’Istruzione

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