Teste vuote: come mascherare una maschera? Un viaggio di poche migliaia di anni.

C’è stato un tempo in cui i seguaci di Dioniso non utilizzavano maschere, ma si cospargevano il capo di foglie e si tingevano il viso con la fuliggine, il mosto o altre sostanze coloranti. Poi arrivò Tespi, che nel VI secolo a. C. creò, prima, la maschera di biacca, poi quella in tela, poi quella in sughero e legno, che continuò il suo viaggio fino ad arrivare a Frinico che la distinse in maschera bianca – femminile – e maschera scura ovvero maschile. La maschera balzò poi fino alle laboriose mani di Eschilo che, adottando la policromia, conferì a questi oggetti espressione e parvenza di vita

Il grido tragico della maschera scivolò velocemente verso le smorfie dei vecchi satiri e si arrampicò fino ad arrivare al ghigno della maschera, eccitata  dal grosso fallo eretto, nella commedia di Aristofane; qualche tempo dopo essa si accomodò e decise di prendere fiato sui sorrisi e sui volti più composti delle maschere di Menandro.  I secoli passarono e mentre dall’altra parte del mondo la maschera – in  un percorso differente, ma parallelo – si era trasformata in ombra dietro un  lenzuolo, in marionetta, e aveva aiutato – in tutte le sue forme – le tribù a  scacciare gli spiriti maligni con la sua funzione apotropaica, nel Medioevo, in occidente, fu messa in galera; fu vietata. Ma questa, come un demone  che nessun sacerdote riesce a esorcizzare, scappò da questi vincoli e riuscì  a posarsi sul volto di alcuni saltimbanchi e si ripresentò, prepotentemente, dentro le casse dei carrozzoni dei commedianti dell’arte che, buca dopo  buca, istillarono in essa quell’energia dionisiaca che, negli anni, i carcerieri  avevano cercato di tenere sotto controllo. 

Poi arrivò un giorno
in cui l’essere umano decise
che tutto doveva  essere spiegato con la ragione

Poi… poi arrivò un giorno in cui l’essere umano decise che tutto doveva  essere spiegato con la ragione; e quel giorno il teatro di magica finzione, il  luogo della menzogna a pagamento, fu trasformato in specchio della realtà  e lo spettro del realismo e il fantasma del naturalismo diedero il colpo di  grazia alla scorza di quelle materiche espressioni inebetite che, per più di  venti lustri, sembrarono sparire; per sempre. Gli anni si succedettero, uno dopo l’altro e un giorno, alle soglie del Novecento, la maschera si presentò  nuovamente; e questa visita improvvisa riaccese le passioni e i cuori degli  uomini di teatro che la vollero nuovamente in scena, attaccata prepotentemente ai loro volti.  Così le sapienti mani di Sartori riuscirono a riportare in vita gli spettri  di quei mostri che si credevano estinti e insieme a Giancarlo Santelli e ad  altri mascherai, ripopolarono il mondo di queste piccole creature: anziane  neonate del teatro.  Ma il mondo sembra essere confinato all’interno di un sistema circolare; destinato a ricadere negli errori commessi in passato, succube di un  eterno ritorno.  Le maschere, oggi, sono tornate a essere – spesso – elementi superflui,  poco utilizzati; finte calzature da volto che l’uomo attore deve occuparsi di  togliere dalla faccia alla ricerca della verità più convincente.  C’è ancora, però, chi non si arrende; chi si ostina – prepotentemente – a tirarle fuori dal buio di una cassa e dalla nebbia dell’ignoranza che le  circonda. Perché ogni maschera ci rappresenta. 

Andrea Puglisi
Direttore Artistico
PROSŌPON – Centro di Teatro Classico e Arti Performative

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Estratto da: A. S. Puglisi, Teste vuote: come mascherare una maschera? Un breve viaggio di poche migliaia di anni, in G. Bandini – C. Pentericci (a cura di), Ludi Plautini Sarsinates VI. Maschere e mascheramenti, Carocci, Roma, 2025, pp. 120-121 (c.d.s.)

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