“Et haud scio an quidquam discatur felicius, quam quod ludendo discitur”
[Erasmo da Rotterdam]
Continuiamo il nostro percorso sui metodi d’insegnamento delle lingue classiche nei secoli: in particolare ci occuperemo del latino durante il Rinascimento. I Colloquia in questo periodo ebbero una larga diffusione, tanto da divenire un genere letterario autonomo, sfruttato da autori del calibro di Vives, che scrisse le Exercitationes Linguae Latinae, opera diffusa anche in Italia.
Il genere dei colloquia affondava le sue radici negli Hermeneumata del III secolo, la cui influenza era durata almeno fino all’undicesimo secolo. In questo articolo tratteremo principalmente di Erasmo da Rotterdam e della sua opera Colloquia.
Erasmo è uno scrittore europeo, nel senso più moderno del termine. Nasce infatti a Rotterdam, presumibilmente nel 1466, e muore a Basilea nel 1536. Egli non si identificherà mai in nessuna tradizione locale o nazionale, anzi le criticherà tutte: educatore attraverso la parola scritta e la stampa, cercò di rendere il latino una lingua europea di comunicazione delle classi colte e non solo. Questo suo intento di fatto fu attuato fino a tutto il ‘700, almeno al di fuori dell’Italia. L’eleganza dello stile e la capacità di attrarre e divertire il lettore furono alla base dei Colloquia.
I Colloquia, la cui composizione impegnò quasi tutta la vita di Erasmo, ci può facilmente fare capire come il legame tra parole e cose si costruisca di volta in volta. Proprio da questo scaturì il conflitto tra Erasmo e i cultori italiani del latino ciceroniano, fautori di un’eleganza formale costruita al prezzo di riprendere il purismo del modello ciceroniano. L’esito fu che Erasmo scomparve dalla cultura italiana. I colloquia erano e possono essere ancora oggi uno strumento di comunicazione vivo e concreto, che solo piegando le parole alle situazioni reali della vita di ogni giorno può restituire al latino tutta la ricchezza di cui era capace. A chi storce il naso e pensa che Erasmo e gli umanisti insistevano sull’uso attivo della lingua perché dovevano imparare a parlare e scrivere in latino, che era al tempo la lingua ufficiale della cultura, mentre oggi i nostri alunni non scriveranno mai né libri né terranno orazioni in latino, vorremmo ricordare che alle basi della teoria degli umanisti c’era la convinzione che una lingua non potesse essere appresa solo passivamente; e gli umanisti usavano infatti lo stesso metodo anche per il greco, e certamente, essi, quasi mai, avevano la necessità di scrivere o parlare greco. Oggi sapere il latino dovrebbe significare dare ai giovani la possibilità di ascoltare la voce di chi ha dibattuto con serietà di tolleranza, di convivenza civile, del sogno di uno stato perfetto – e non dovrebbe essere solo studio della “civiltà classica” o della grammatica.
Scriveva Erasmo:
“Se è vero che la grammatica è necessaria, vorrei tuttavia che fosse il più breve possibile e sommamente efficace. Non approvo gli insegnanti di latino, che impiegano anni per inculcare nei ragazzi le regole grammaticali”.
Egli scrisse per gli studenti dei formulari di parole e frasi da usare nelle occorrenze più ordinarie. Si trattava di imparare a usare il latino per tutte le occasioni: come salutare all’arrivo o alla partenza, quali parole usare per un vecchio padre o per un’innamorata, come informarsi della salute o formulare auguri per una festa, per un parto e così via. Tante frasi già pronte per i più diversi contesti e destinatari. La concretezza delle occasioni d’uso e la capacità di piegare la lingua a esprimere sfumature di rapporti umani diversi furono il contributo originale di Erasmo a un genere preesistente e di lunga durata. Da quando esistono scuole certamente esistono manuali scolastici. E quella era l’epoca di una svolta culturale che fece del latino lo strumento e lo scopo degli studi. Già allora erano diffusi prontuari di espressioni latine, che gli insegnanti facevano imparare a memoria agli studenti. Era un mondo di parole che doveva adattarsi nel modo migliore alle cose. Erasmo non amava il chiuso delle scuole e non sopportava i professori spocchiosi; egli ricorreva all’etimologia per ricordare che la parola scuola aveva significato in greco di ozio e in latino di gioco (scholé e ludus).
Nell’Elogio della follia (1511), Erasmo bolla i grammatici con parole di fuoco. Poiché sarebbe troppo lungo enumerare tutti i tipi di pazzia propri del volgo, si limita a parlare di coloro che hanno fama di sapienti:
“[…] inter quos Grammatici primas tenent, genus hominum profecto, quo nihil calamitosius, nihil afflictius, nihil aeque Diis invisum foret, nisi ego miserrimae professionis incommoda dulci quodam insaniae genere mitigarem. […] ut qui semper famelici, sordidique in ludis illis suis, in ludis dixi, imo in phrontisteriois vel pistrinis potius, ac carnificinis inter puerorum greges, consenescant laboribus, obsurdescant clamoribus, foetore paedoreque contabescant, tamen meo beneficio fit, ut sibi primi mortalium esse videantur. Adeo sibi placent, dum pavidam turbam, minaci vultu voceque territant: dum ferulis, virgis, lorisque conscindunt miseros, dumque modis omnibus suo arbitratu saeviunt… Sed longe etiam feliciores sunt, nova quadam doctrinae persuasione. Siquidem cum mera deliramenta pueris inculcent, tamen, Dii boni, quem non illi Palaemonem, quem non Donatum prae sese contemnunt? idque nescio quibus praestigiis mire efficiunt, ut stultis materculis et idiotis patribus tales videantur, quales ipsi se faciunt”
(Morias encomion, sive Stulticiae laus, XLIX)¹
Erasmo invece propone un profilo di insegnante e un metodo di insegnamento ben diversi, come spiega nel De utilitate Colloquiorum:
“Quandoquidem nec medici semper aegrotis ministrant saluberrima, sed illis nonnihil concedunt ob hoc ipsum, quod vehementer appetant, itidem mihi visum est, hoc genus illecebris inescare teneram aetatem, quae iucundis facilius ducitur, quam seriis aut exactis […] deinde adieci quae moribus etiam formandis conducerent, velut irrepens in animos adolescentium […] Et, si laudantur litteratores aetate provecti, qui pueritiae crustulis blandiuntur, elementa velint ut discere prima; mihi non arbitror vitio verti debere, quod simili studio iuventutem illecto, vel ad elegantiam Latini sermonis, vel ad pietatem… Multis amara sunt grammatices praecepta… Et haud scio an quidquam discatur felicius, quam quod ludendo discitur.”²
(Colloquia, De utilitate colloquiorum ad lectorem).
Un testo, i Colloquia, che oggi, come nel Rinascimento, possono essere d’esempio per chi, quotidianamente, deve accompagnare per mano i propri studenti alla scoperta del meraviglioso mondo dell’antichità classica.
Antonella Lo Castro
note
¹“…tra i quali i grammatici occupano il primo posto, categoria di uomini della quale non ci sarebbe una più disgraziata, più triste, più malvista dagli dèi se io [parla la Follia] non mitigassi gli svantaggi della loro infelicissima professione con un genere di follia per così dire dolce … loro, che sempre affamati e sudici, tra bande di ragazzini, in quelle loro scuole – ho detto scuole, anzi piuttosto “pensatoi” [n.d.r.: così si chiama per dileggio la scuola di Socrate nelle Nuvole di Aristofane], mulini, luoghi di tortura – diventano vecchi tra le fatiche, sono assordati dal chiasso, marciscono tra il cattivo odore e la sporcizia; eppure, grazie a me, a loro sembra di essere i più importanti tra gli esseri umani. A tal punto si piacciono, quando spaventano con voce ed espressione minacciosa la scolaresca impaurita, quando lasciano il segno a colpi di sferza, di frusta, di cinghia, quando incrudeliscono in tutti i modi a piacer loro. Ma ciò che li rende ancor più felici è la persuasione di essere straordi- nariamente dotti. Infatti, inculcando nei ragazzi per lo più delle assurdità pure e semplici, a quale Palemone, a quale Donato, o buon Dio, non si credono superiori? E non so con quali trucchi ottengono prodigiosamente di sembrare tali quali essi si credono a delle sciocche mammine e a dei padri sempliciotti”. Per non dire poi del piacere che provano quando “scoprono in qualche carta ammuffita il nome della madre di Anchise o qualche parolina normalmente sconosciuta come bubsequa, bovinator o manticulator (bovaro, perditempo, borseggiatore)…”
²“Dal momento che anche i medici non prescrivono sempre agli ammalati cibi ottimi per la salute, ma concedono qualcosina proprio per far sì che mangino di buon appetito, così mi è sembrato che questo genere [i Colloquia] attiri con la sua piacevolezza gli studenti in tenera età, che si lasciano guidare più facilmente con insegnamenti piacevoli piuttosto che con insegnamenti severi e pedanti; infine, come introducendomi di soppiatto nell’animo degli adolescenti, ho aggiunto argomenti che portassero anche alla educazione morale… E, se si lodano i maestri anziani, che blandiscono i bambini con i biscotti, perché siano disposti ad imparare l’alfabeto, non credo che mi si debba attribuire come un difetto il fatto che con un simile allettamento attiro i giovani sia ad apprendere l’eleganza della lingua latina, sia la pietà religiosa. Per molti gli insegnamenti della grammatica sono amari… E non so se ci sia qualcosa che si impara con migliori risultati di ciò che si impara giocando”
Bibliografia:
Erasmo Da Rotterdam, Colloquia. Testo originale a fronte, curatore Asso C., Collana Biblioteca della Pléiade, Einaudi 2002
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