Dal 1970 in poi si è assistito ad un interesse sempre crescente per la glottodidattica e tutto ciò che precede questa data viene etichettato in genere come metodo grammaticale-traduttivo… ma il passato di questa professione è veramente così monolitico? E soprattutto: l’insegnamento secondo il metodo induttivo-contestuale è davvero un fenomeno esclusivo del ventesimo secolo (evolutosi dal comportamentismo agli approcci comunicativi)? Partendo da queste domande riflettiamo su ciò che comunemente viene definito “metodo tradizionale” e concludiamo per ora il nostro viaggio attraverso i secoli con Comenius.
Giovanni Comenius (1592-1670) visse in un periodo di radicali cambiamenti intellettuali; il nuovo razionalismo scientifico stava, infatti, minando l’autorità degli autori classici e della tradizione, sicché l’obiettivo umanista di salvare il latino non avrebbe potuto comunque realizzarsi per via dei nascenti interessi nazionalistici, mal compatibili con una lingua internazionale. Tuttavia, uno dei fattori che sicuramente portò al declino del latino è da vedere proprio nel metodo di insegnamento usato, centrato sulla traduzione e sull’uso della lingua madre durante la lezione. Il latino si continuò a studiare, ma non fu più lingua di interazione. Comenius ricorda di aver imparato il latino studiando regole ed irregolarità senza capire nulla: se questo non gli servì a imparare il latino, risultò poi fondamentale per i suoi propositi di riformare un sistema inefficiente e trovare un modo più facile e piacevole di insegnare. Egli criticò fortemente il metodo allora attuale di far precedere l’insegnamento di una lingua all’insegnamento di altre materie. Secondo Comenius invece l’insegnamento della lingua deve essere accompagnato da un “insegnamento in cose” (materie scolastiche).
LA SCUOLA COME “MATTATOIO PER LA MENTE”
Comenius era un insegnante, per cui era ben consapevole delle lacune del sistema scolastico in cui lavorava, anziché limitarsi a esprimere lamentele o scagliare accuse, decise di fare qualcosa in merito.
Cosa fece? E soprattutto: perché lo fece? E inoltre, cosa possiamo imparare noi oggi, dall’uomo che è considerato il padre della pedagogia moderna?
Jan Amos Comenius (Komensky in ceco) nato il 28 marzo 1592 in Moravia, una regione dell’attuale Repubblica Ceca, aveva trovato lavoro come insegnante di latino al ginnasio di Leszno, una scuola preparatoria per l’università. Ben presto, però, si era sentito insoddisfatto dei cattivi metodi di insegnamento.
Il sistema scolastico dell’epoca si trovava in uno stato deplorevole. Solo i maschi, per esempio, erano considerati degni di ricevere un’istruzione, ad esclusione, però, di quelli che nascevano poveri. L’istruzione in classe consisteva soprattutto nel riempire la mente degli allievi di parole, frasi e grammatica latine. Perché? Perché la maggioranza delle scuole erano sotto il controllo della Chiesa Cattolica, che teneva la liturgia in latino. Era dunque essenziale insegnare il latino in modo da avere sempre nuove reclute per il sacerdozio.
Per di più non ci si prefiggevano precisi obiettivi didattici, né l’istruzione mirava a condurre gli allievi gradualmente dalle idee semplici a quelle complesse. Non a caso proprio in quegli anni l’educatore scozzese Simon Laurie disse che le scuole del XVII secolo erano “irrimediabilmente disorganizzate” e “per nulla interessanti”. Comenio in modo ancora più diretto definì le scuole “mattatoi per la mente“.
L’OPERA DI COMENIUS
Comenius non fu il primo a riconoscere il bisogno di una riforma del sistema scolastico; in Inghilterra per esempio Francis Bacon (italianizzato in Francesco Bacone) aveva già deplorato l’importanza che si dava allo studio del latino proponendo che si tornasse a studiare la natura. In Germania, tra gli altri, Wolfgang Ratke e Johann Valentin Andreae tentarono delle riforme, ma non trovarono chi appoggiasse ufficialmente le loro idee.
Comenius così scriveva:
“Non potremo trovare rimedi se prima non avremo trovato il male, o meglio ancora, le cause del male. Che cosa ha finora ritardato l’attività didattica e i suoi progressi, tanto che la maggior parte di coloro che hanno trascorso anche tutta la vita sui banchi di scuola non hanno appreso fino in fondo le scienze e le arti, anzi certune neppure le hanno salutate dalla soglia? Ecco le cause più verosimili:
Primo: non erano mai stabilite le mete che gli scolari dovessero raggiungere ogni anno, mese, giorno; tutto era quindi lasciato nel vago;
Secondo: non erano tracciati percorsi di insegnamento che conducessero senza errori alla meta;
Terzo: gli insegnamenti, che sono collegati per materia, si impartivano tenendoli separati senza connessione alcuna”.
Egli propose un sistema grazie al quale imparare diventava divertente anziché faticoso. Chiamò il suo metodo didattico Pampaedia, ovvero “educazione universale”. Il suo obiettivo era istituire un sistema di insegnamento graduale di cui tutti potessero beneficiare. Ai bambini si dovrebbe insegnare in maniera graduale, diceva, partendo dai concetti elementari per arrivare in maniera naturale a quelli più complessi.
L’educazione, però, non si dovrebbe limitare all’adolescenza ma dovrebbe continuare per tutta la vita. Comenius scrisse che lo studio dovrebbe essere
“tutto pratico e tutto gradevole e tale che per mezzo di esso la scuola diventi veramente un gioco, cioè un dolce preludio a tutta la vita”.
Era inoltre convinto che l’obiettivo della scuola dovesse essere quello di educare non solo la mente bensì la persona intera, per cui doveva includere istruzione morale e spirituale.
La prima opera di Comenius nel campo della pedagogia ad essere pubblicata fu, nel 1630, La scuola dell’infanzia. Si trattava di un libro concepito per aiutare mamme e nutrici ad insegnare ai bambini in casa. A questo fece seguito, nel 1631, Janua linguarum reserata, che rivoluzionò l’insegnamento del latino. Il testo era disposto su due colonne parallele, una in ceco ed una in latino. Era quindi facile confrontare le due lingue, il che rendeva molto più semplice l’apprendimento.
L’edizione riveduta di questo ausilio didattico incontrò un tale favore che venne tradotta in 16 lingue.
L’opera più famosa di Comenio, e forse la più semplice, è Orbis rerum sensalium pictus, un libro destinato ai bambini per introdurli alla lettura attraverso le figure. Anche questa fu una pietra miliare nella storia della pedagogia. Ellwood Cubberley, docente di pedagogia del XX secolo. dice che quest’opera “rimase senza pari in Europa per centoquindici anni, e fu usata come libro di testo di livello elementare per quasi duecento anni”. Molti odierni libri di testo illustrati, in effetti, continuano a seguire l’impostazione dell’opera di Comenio, utilizzando le illustrazioni come ausili didattici.
Ben presto Comenio fu acclamato come un genio. ln tutta Europa gli studiosi lo consideravano un punto di riferimento e gli chiedevano consigli.
L’EDUCAZIONE COME FORZA UNIFICATRICE DELL’UMANITA’
Dopo aver analizzato la vita di Comenio non si può fare a meno di chiedersi cosa lo motivasse. Egli considerava l’educazione una forza unificatrice per l’umanità. Secondo lui l’educazione universale avrebbe potuto contribuire a mantenere la pace nel mondo.
Per Comenio, inoltre, conoscenza e sentimento religioso erano due cose legate fra loro. Era convinto che acquistando conoscenza l’uomo alla fine si avvicina a Dio. E forse era questo ciò che più lo motivava.
Le intuizioni di Comenio in campo pedagogico sono tuttora valide. I suoi metodi didattici, tra cui l’uso di ausili visivi, sono seguiti in tutto il mondo, ad esempio nelle pubblicazioni edite dalla Watch Tower Bible and Tract Society.
“Non si deve sovraccaricare lo studente con cose lontane dalla sua età, dalla sua capacità, dalla sua condizione presente”.
“JANUA LINGUARUM RESERATA” E “ORBIS SENSUALIUM PICTUS”
Nell’Europa dell’epoca la fama di Comenio era legata alla pubblicazione di Janua, in cui voleva privilegiare un processo di apprendimento della lingua che, secondo le intenzioni dell’autore, avrebbe dovuto fondarsi su una stretta interrelazione con le cose, rigettando il vuoto verbalismo della pura grammatica. Comenio aveva progettato la Janua come una piccola enciclopedia, nella quale la disposizione della materia in cicli – dagli elementi della natura per giungere, attraverso i minerali, le piante e gli animali, all’uomo e poi ai valori morali e spirituali e infine a Dio – coincideva con il piano dell’apprendimento del vocabolario.
Un simile progetto e il nome stesso di Janua non erano nuovi: nel 1615 era stata pubblicata in Inghilterra un’opera concepita dal reverendo William Bathe, gesuita irlandese a Salamanca, dal titolo Janua linguarum, in cui l’autore evidenziava come l’insegnamento comunemente impartito risultava ben lontano dal mondo reale e sottolineava negativamente la riconferma di un approccio alla didattica delle lingue che ancora insistesse sulle strutture grammaticali e sugli artifici retorici.
Allontanandosi dal testo di Bathe, Comenius lo rinnovava dalle fondamenta, insistendo su uno studio del latino che avesse il suo cardine nella lingua vernacolare e privilegiasse la relazione parole-cose, con l’esplicita finalità di fornire allo studente l’immagine il più possibile concreta del mondo. Attraverso cento capitoli (ognuno dei quali composto da dieci proposizioni) l’intero universo entra nella Janua: dalla creazione dei vari elementi ai regni animali, vegetali e minerali, per giungere poi all’uomo nella sua struttura fisica e nel suo essere sociale, morale e spirituale.
La Janua Linguarum Reserata ebbe un forte impatto in Inghilterra: tradotta immediatamente fin dal 1631 da John Anchoran con il titolo Porta Linguarum Trilinguis reserata et aperta (The Gate of Tongues unlocked and opened), riportava su tre colonne il testo in latino e la traduzione in inglese e in francese. Qualche anno più tardi venne alla luce una differente traduzione ad opera di Thomas Horne con il titolo uguale all’originale: nonostante l’apparente fedeltà a Comenius, vi erano soltanto due colonne relative al latino ed all’inglese. Il succedersi delle edizioni inducono a ritenere che il metodo comeniano avesse avuto successo e le testimonianze relative al viaggio di Comenius in Inghilterra dal settembre 1641 al giugno 1642 mostrano quanto il pedagogista moravo fosse apprezzato e noto negli ambienti intellettuali inglesi e quanto ancora ci si attendesse da lui.
Nel 1658 a Norimberga Comenius aveva pubblicato, come abbiamo già sottolineato, un testo della massima importanza per lo studio delle lingue, l’Orbis Sensualium Pictus, nel quale le parole tradotte in varie lingue sono accompagnate da figure il cui soggetto rappresenta l’argomento centrale. Nell’immagine ogni elemento era corredato da un numero che veniva posto accanto alla parola a cui si riferiva: in tal modo il discente poteva agevolmente trovare il termine che lo interessava e verificare come era stato tradotto nelle altre lingue presenti. Inoltre le singole frasi tendevano a rappresentare situazioni della vita reale e quotidiana del fanciullo, inserendo i singoli oggetti nell’ordine naturale del creato.
Nella prefazione “Al lettore” Comenius spiegava così la struttura dell’opera:
“Questo libretto, come vedete, non è di grande mole: tuttavia è un breviario del mondo tutto e di tutta quanta la lingua, pieno di figure, di nomenclature, di descrizioni delle cose.
I. Le figure sono come tante rappresentazioni di tutto ciò che vi è di visibile nel mondo (cui in qualche modo si ridurranno anche le cose invisibili), secondo lo stesso ordine con cui sono state descritte nella Janua e con una tale completezza che tutte le cose necessarie ed essenziali sono state registrate.
II. Le nomenclature sono iscrizioni o titoli poste su ciascuna figura, che esprimono con una sola parola generale tutto il senso contenutovi.
III. Le descrizioni sono spiegazioni delle singole parti delle figure, espresse con i propri nomi in modo tale che lo stesso numero, posto sulla singola parte della figura e sul nome che lo indica, corrisponda sempre.”
Insieme alla Janua, l’Orbis Sensualium Pictus costituì la base didattica per mezzo della quale si iniziò in Inghilterra ad insegnare il latino utilizzando una metodologia rinnovata. Intorno agli anni Settanta del XVII secolo una generazione di maestri, saggiata l’efficacia del sistema comeniano, se ne fece portavoce nelle scuole londinesi: dando così vita alla “seconda generazione dei comeniani” composta in particolare da tre personaggi di spicco: Bathsua Makin, Mark Lewis e Charles Hoole, tutti schoolmasters con una lunga esperienza di insegnamento.
La teoria didattica di Comenio sembra coincidere con quella di Guarini e degli altri umanisti: le lingue si imparano usandole come mezzo attraverso il quale acquisire conoscenza e quindi per la loro utilità pratica.
Egli riteneva che cominciare con la grammatica – e non con qualche autore – confondesse i discenti; convinto che nessuna lingua si impari attraverso la grammatica, vide la soluzione nell’unire il contenuto alla lingua e nell’offrire più esempi e meno precetti e soprattutto materiale più appropriato all’età e più fondato pedagogicamente.
Tuttavia i metodologi che poi scrissero i manuali per gli insegnanti, raccomandarono cose del tutto diverse e per tutto il Settecento e l’Ottocento (e tutt’oggi, ahimè) lo studio del latino e delle altre lingue straniere fu costituito da regole, memorizzazione di vocaboli, declinazioni e coniugazioni, traduzioni ed esercizi… che non riflettono l’altra tradizione classica dell’insegnamento delle lingue rappresentata da Guarino, Erasmo e da Comenius stesso. Trascurandola si è perso il meglio dell’educazione occidentale.
Antonella Lo Castro
È possibile scaricare:
– Orbis Sensualium Pictus a questo link
– Janua Linguarum Reserata a questo link.
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