Prendendo spunto dalle riflessioni di Plutarco e Tucidide, cerchiamo di fare una breve riflessione sulla democrazia antica e sul suo più noto paladino.

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Associare ad Atene e alla Grecia classica l’idea di democrazia è assolutamente normale. Se poi all’immagine (inculcata a forza e non rispondente al vero) dei ‘bianchi marmi’ del Partenone si aggiunge anche il nome di Pericle, ecco che viene a concretizzarsi il sogno proibito di ogni appassionato del mondo classico: l’immagine amena dell’Atene ‘migliore’.
Pericle non ha inventato la democrazia, ma con il suo operato e le sue riforme ha posto le basi per una democrazia più consapevole di se stessa e del suo ruolo rispetto a un mondo dominato generalmente dall’oligarchia o dalla monarchia, di cui la democrazia rappresenta il contrario e il naturale nemico, come dimostrano gli sviluppi della guerra tra Sparta e Atene che durerà dal 431 al 404 a. C. e si concluderà con la sconfitta di Atene.
Se pensiamo a quello che dice Pericle nel famoso epitaphios logos per i caduti del primo anno di guerra del Peloponneso (Tucidide, Guerra del Peloponneso, II, 35-46) è facile vedere come effettivamente quelle parole siano profondamente legate anche all’idea moderna di democrazia, per quanto vi siano delle notevoli differenze, prendiamo ad esempio un breve passaggio:
Noi usufruiamo di un sistema di governo che non fa il verso alle leggi dei vicini, anzi, siamo noi ad essere un modello per qualcuno piuttosto che noi ad imitare gli altri. Di nome è chiamata democrazia per il fatto che si amministra lo Stato non nell’interesse di pochi ma della maggioranza, infatti secondo le leggi a tutti spetta l’uguaglianza per quanto concerne gli affari privati, mentre per quanto riguarda la reputazione, ciascuno è scelto nelle cose per cui è stimato, non in base alla classe sociale più che per il merito, né, per quanto concerne la povertà, se qualcuno è in grado di fare qualcosa di buono per la città non è ostacolato dall’oscurità della sua reputazione.
Tucidide, Guerra del Peloponneso, II, 37.1
È molto facile, in un testo come questo che ci tocca nel profondo e ci riguarda, visto che l’Occidente ha eletto la democrazia periclea a suo modello e ha elaborato la propria idea di democrazia anche sulla base della continua riflessione condotta su queste pagine così dense e di bellezza ed efficacia dal punto di vista letterario e di significato, profondo, anche semplicemente se pensiamo alle circostanze assolutamente tragiche in cui questo discorso di Pericle viene pronunciato: si stanno seppellendo i caduti del primo anno di guerra, c’è stata la prima invasione dell’Attica, la città è ovviamente provata e quindi il suo leader si richiama ai valori della comunità che quella città abita e ha creato, quegli stessi valori che grazie anche alla maestria di Fidia si è cercato di comunicare attraverso quel programma di ristrutturazione dell’acropoli che non celebrò soltanto la vittoria sui Persiani ma anche l’affermazione di un mondo nuovo e di nuovi ideali.
Se dunque queste parole di Pericle sono particolarmente efficaci ancora oggi, c’è da dire che le fonti e in particolare la famosa Costituzione degli Ateniesi ormai quasi unanimemente riconosciuta come aristotelica muovono delle notevoli critiche alle scelte politiche di Pericle, in particolare riguardo all’introduzione del misthòs, cioè della retribuzione per coloro che prendessero parte all’attività giudiziaria, proprio per dare a tutti la possibilità di parteciparvi indipendentemente dalla ricchezza personale, la misura è comprensibile, ma le ragioni possono essere anche altre:
Pericle per primo istituì poi le retribuzioni per il servizio nei tribunali, rivaleggiando con la ricchezza di Cimone per il consenso del popolo. Cimone, infatti, poiché era in possesso di un patrimonio da tiranno, principalmente finanziava le liturgie pubbliche in maniera splendida e poi manteneva molti degli abitanti del suo demo: era infatti possibile per chi volesse tra i Laciadi, andando ogni giorno da lui, avere il necessario per vivere, e poi tutti i suoi terreni erano senza recinti, in modo che fosse possibile a chi lo volesse usufruire dei frutti. Essendo superato da questa abbondanza di patrimonio, Pericle, istituì una retribuzione per i giurati, consigliato da Damonide di Oe, che sembrava essere l’ispiratore di parecchie iniziative per Pericle e anche per questo in seguito lo ostracizzarono, il quale gli suggerì di dare ai più ciò che le apparteneva. Da questo momento in poi secondo alcuni la situazione peggiorò, poiché si facevano sorteggiare molto volentieri per il ruolo di giurato persone qualsiasi piuttosto che quelle dabbene.
Aristotele, Costituzione degli Ateniesi, 27.3-4
Questa critica a Pericle ci fa capire, per quanto in maniera riduttiva, quanto il suo ruolo e sue politiche furono incisive e in grado di scatenare la reazione di parti più conservatrici della cittadinanza, come dimostrano, tra le altre cose, i vari processi intentati a lui e al suo entourage – cioè il processo a Fidia, a Damone e ad Aspasia. In ogni caso la figura di Pericle rimase centrale anche nella gestione della guerra del Peloponneso fino a quando non ci fu la famosa epidemia di peste, che portò via anche l’uomo che per la sua facondia era detto Olimpio, stando a Plutarco, e che in tono dispregiativo molti avevano chiamato re, senza rendersi conto della sua importanza, come dimostra la conclusione della Vita plutarchea:
Quel suo invidiato vigore, prima chiamato tirannide e monarchia, si rivelò allora essere stato il baluardo di difesa della città: sullo stato incombeva dunque un tale carico e una tale abbondanza di sventura che quello aveva tenuta nascosta e trattenuta, rendendola piccola e non in grado di nuocere, e facendo sì che non divenisse incontrollabile.
Plutarco, Vita di Pericle, 39.4
Nella sventura e nella calamità, Pericle era stato il baluardo della sua città. Noi lo ricordiamo oggi come il baluardo della democrazia.
Giulio Bianchi
CNSC GrecoLatinoVivo
Illustratrice
Giovanna Marsilio
