Insegnare il greco parlando in greco: l’esempio di John Stuart Blackie

Nel pieno della lotta fra il nuovo metodo filologico tedesco che prendeva piede (quello con cui a noi tutti sono state insegnate le lingue classiche)  ed il metodo tradizionale degli Umanisti, fa il suo ingresso uno studioso scozzese che seguirà le orme di Erasmo da Rotterdam, mandando alle stampe i suoi colloquia, frutto di quasi mezzo secolo di esperienza didattica.

llm455414Nel 1871 la casa editrice Macmillan and Co. (London and New York) pubblicò un volumetto dal titolo “Greek and English Dialogues, for Use in Schools and Colleges”, opera dello scozzese John Stuart Blackie (1809–1895), Professor of Greek in the University of Edimburgh. Un volumetto aureo, la cui lettura è d’obbligo per gli studiosi e i cultori del greco antico. Ma chi era questo professor Blackie? Nato a Glasgow nel 1809, aveva studiato ad Aberdeen e ad Edimburgo, poi (nel 1829) in Germania a Gottinga e a Berlino. Il padre avrebbe voluto che divenisse un avvocato, ma egli aveva ormai sviluppato una forte passione per la classicità e per la letteratura in generale. Una sua traduzione del Faust di Goethe (1834) fu assai apprezzata dal pubblico e dai letterati. Dal maggio 1839 Blackie resse la cattedra di Humanities (Latino) nel Marischal College di Aberdeen, anche se, per alcune sue riserve in materia religiosa, non gli fu riconosciuto lo status di Professor se non nel 1841. Fin dall’inizio le sue lezioni si distinsero per l’approccio anticonvenzionale e per l’entusiasmo profuso nel tentativo di dare nuova linfa agli studi classici; ciò ne accrebbe la fama, e gli fece ottenere (1852) la cattedra di Greco all’Università di Edimburgo, che egli resse per trent’anni. Fu certamente un personaggio eccentrico, dalla conversazione brillante, e le sue lezioni furono sempre seguitissime, proprio perché erano la diretta espressione della sua personalità affascinante.

Il libro è una silloge di 25 brevi dialoghi in greco antico, affiancati dalla loro traduzione in inglese. Ogni singolo dialogo ha un suo tema di fondo; ne diamo di seguito l’elenco:
I. Il tempo atmosferico;
II. La casa e il suo arredamento;
III. La campagna;
IV. La città;
V. La scuola e l’università;
VI. La grammatica;
VII. La letteratura greca;
VIII. Gli animali;
IX. Le parti del corpo;
X. Piante, alberi e fiori;
XI. Rocce e struttura della terra;
XII. La chimica;
XIII. L’arte retorica e le belle lettere;
XIV. Aritmetica e matematica;
XV. Logica e metafisica;
XVI. Filosofia morale;
XVII. Giurisprudenza;
XVIII. Politica e forme di governo;
XIX. La letteratura latina;
XX. Meccanica;
XXI. Musica;
XXII. Una mostra di quadri;
XXIII. Salute e malattia;
XXIV. il vestiario;
XXV. Un dinner party.

Blackie ha scritto ex novo tutti i dialoghi, attingendo per il lessico e gli idioms dagli autori greci classici. In appendice ad ogni dialogo egli ha posto un’ulteriore lista di vocaboli e locuzioni attinenti al tema ma non inserite nel dialogo per non renderlo troppo artificioso. Ed infatti ciò che distingue il libro di Blackie dalle più note (e senz’altro meritevoli) Fraseologie del Greco antico è proprio l’aver egli presentato il lessico relativo ad ogni singolo campo semantico non in una lista alfabetica, bensì in quella che è la sua veste più naturale: il discorso, appunto.

Blackie_memorialBlackie stesso era ben consapevole della non convenzionalità della sua proposta didattica; al fine di esporre le motivazioni che lo avevano condotto a redigere i dialoghi, e di fugare le perplessità e rintuzzare le critiche che immaginava gli sarebbero state mosse dai docenti più ‘conservatori’, egli antepose al volumetto una prefazione di una quindicina di svelte paginette, scritte in un inglese volutamente brioso che lascia trasparire tutte le qualità dell’uomo: il suo amore per la classicità, la sua dedizione all’insegnamento, la sua attenzione alle necessità e alle aspettative degli studenti, il suo sano buon senso, la sua bonaria ma implacabile ironia. Ne riassumeremo i punti principali, consigliandone vivamente la lettura a tutti quelli che amano il greco antico. È una medicina salutare e perché no, anche divertente.

Blackie comincia col rilevare alcune ‘assurdità madornali’ nelle metodologie di insegnamento e di apprendimento delle lingue classiche, da lui avvertite fin da quando
aveva iniziato la sua carriera di docente trent’anni prima, ad Aberdeen. Egli aveva notato infatti che, ogniqualvolta si rivolgeva agli studenti in latino, anche con una brevissima frase di conversazione spicciola, questi (che pure asserivano di conoscere e comprendere il latino) restavano sbalorditi. Evidentemente il ‘metodo dialogico’ (colloquial method) con cui egli stesso aveva imparato le lingue classiche, e che era stato lo stesso applicato da Erasmo, da Comenio e da tanti intellettuali dei secoli XVI e XVII in tutta Europa, non era più in vigore. Non solo: appariva chiaro che nell’uso didattico non vi era la minima traccia della pratica attiva del linguaggio, dalla lingua del docente all’orecchio del discente. In stretta connessione a ciò, si riscontrava negli studenti, che pure erano esercitati a puntino nelle più sottili regole sintattiche, una estrema esiguità di bagaglio lessicale.

Gli studenti avevano sì, nella memoria e nei quaderni, un bel numero di locuzioni militari tratte da Cesare, ma se Blackie semplicemente diceva a un ragazzo non molto signorile di togliersi il berretto in aula, o di modulare la voce e non squittire come una donnola, tutti quanti mostravano chiaramente di non capire niente, come se egli si fosse rivolto loro parlando ‘nel dialetto dei Brahmini’. Era chiaro che – qualunque altra cosa fosse stata loro insegnata – tutti gli oggetti intorno a loro e posti sotto i loro stessi occhi, nell’uso didattico cui erano avvezzi, erano stati considerati come non esistenti. Era altresì chiaro che non gli era mai stato insegnato a pensare nella lingua che essi stavano studiando: infatti, invece di ricorrere al proprio bagaglio lessicale per esprimere i loro pensieri, essi dovevano sempre effettuare un processo di traduzione in inglese; processo innaturale, scomodo e lento.

A chi pensa che questo sia il solo modo per insegnare le lingue ‘morte’, Blackie controbatte che nessun linguaggio può essere insegnato senza qualcuno che ne pronunci parole e frasi e qualcun altro che le ascolti e le ripeta. Dunque nell’insegnamento non può darsi alcuna differenza tra una lingua viva e una lingua morta; per entrambe

«il diretto ricevente è l’orecchio, la memoria è solo il magazzino, e il buon giudizio ne è il saggio dispensatore»

e aggiunge che nessuna regola grammaticale o filologica ha significato se non in riferimento al parlato; e se l’elocuzione non si articola nel rispetto delle regole conosciute della lingua, allora le regole stesse sono solo l’ostentazione di una greve pedanteria. Blackie non nasconde a se stesso che le sue osservazioni non risulteranno gradite al ‘proverbiale conservatorismo’ della classe docente; tuttavia ritiene che la crisi delle discipline classiche in atto ai suoi tempi (figuriamoci se fosse vissuto oggi…) potrebbe essere uno sprone per quegli insegnanti che sono insoddisfatti dei metodi didattici d’uso prevalente.
Per Blackie è quindi fondamentale una pratica attiva della lingua di arrivo:

«nell’acquisizione di qualunque linguaggio, sia vivo che morto, si deve cominciare con un approccio vivo dalla lingua del docente all’orecchio del discente, e ciò con riferimento diretto ad oggetti verso cui il discente prova un interesse naturale e familiare» (p. x).

Così avviene per natura nell’apprendimento della propria lingua materna. La differenza sta nel fatto che nell’insegnamento scolastico delle lingue il docente ha il vantaggio di poter conciliare la natura con un piano didattico calcolato e graduato, così da conseguire lo stesso fine con lo stesso mezzo, ma in modo più sistematico e molto più rapido.

Se tutti i docenti di lingue classiche sapessero parlare greco e latino, dice Blackie, non ci sarebbe stato bisogno di un libro come il suo; ma siccome egli si rende conto che la maggioranza dei docenti è talmente sovraccarica di lavoro e talmente mal pagata da non poter conseguire facilmente un simile risultato, ha ritenuto doveroso offrir loro un comodo strumento didattico. Lo scopo di tale libro è evidente: sia il professore che l’alunno vengono dotati di un ricco bagaglio di lessico che non deve essere ricercato faticosamente, e che consiste di parole espressamente scelte per consentire di nominare in greco qualsivoglia oggetto essi sappiano nominare in inglese

«mentre i dialoghi li tuffano nell’elemento vivo del greco, in cui essi devono imparare a sguazzare gioiosamente come giovani foche in un mare pieno di sole» (p. xii).

Del resto, Blackie propone l’uso dei suoi dialoghi non in sostituzione dei libri di testo, ma come una risorsa pratica e preziosa da affiancare ad essi; è consapevole che il suo libro presupponga studenti che abbiano raggiunto già un livello avanzato; tuttavia ritiene che esso possa fornire al docente tutto il materiale utile per predisporre strumenti didattici anche per i principianti. Infatti, occorre fugare il preconcetto errato che il parlare una lingua morta sia un’impresa ardua, persino per gli studiosi più provetti. È sufficiente invece che gli studenti abbiano appreso nelle prime lezioni gli schemi di I e II declinazione (validi per sostantivi e aggettivi), il presente indicativo e l’infinito di alcuni verbi, per poter avviare tranquillamente una conversazione, ad esempio, sulla bella giornata di sole che il professore indica agli alunni fuori dalla finestra dell’aula. Blackie afferma che nessuna persona sensata direbbe che per un docente di greco sia più difficile dire “il sole splende; vedi il cielo limpido?” in greco che non in inglese…

«Se egli [il docente] avverte la minima difficoltà nel metter insieme nel modo appropriato queste semplici parole, allora è chiaramente inadatto persino per l’insegnamento più elementare» (p. xiii).

Absit iniuria uerbis! Lo studio delle lingue è come imparare a disegnare o a suonare uno strumento. Gli inizi sono sempre difficili. Si inizia piano piano e faticosamente, ma gradualmente la fatica si trasforma in facilità, e se gli stadi del processo sono ben calcolati, ben presto si procederà con destrezza (dexterity). Il docente nominerà i vari oggetti nell’aula, accompagnando la pratica con una conoscenza sempre più approfondita della grammatica. Le vive necessità della pratica di conversazione richiederanno l’introduzione di elementi di sintassi e la frequente ripetizione, unita a una crescita graduale di conoscenze e competenze linguistiche, faranno sì che un largo bagaglio di parole e di locuzioni si insinuino facilmente e gradevolmente nell’orecchio dei discenti, invece di esser forzate nella memoria mediante fredde formule.

j7D3yrs494wBlackie illustra il metodo come da lui stesso applicato nelle sue lezioni: egli avvisa gli studenti che il giorno successivo tratterà in greco di un certo argomento (ad esempio, il clima); essi allora dovranno esercitarsi sul lessico relativo ricavandolo dal dialogo dedicato al clima (il capitolo I). Il giorno dopo, il prof descriverà una tempesta, e verificherà con semplici domande che gli studenti capiscano il suo discorso. Dopodiché, saranno gli studenti a dover parlare sullo stesso tema la lezione successiva; infine, una verifica scritta, che consisterà in una composizione sul medesimo tema, per consolidare le acquisite competenze lessicali insieme con quelle sintattiche, e che verrà rivista e commentata in classe con il docente. Tutto questo non richiederà più di 20 minuti a lezione, e resterà tempo in abbondanza per la lettura e lo studio dei classici. Il conversational method non dispensa dallo studio delle regole grammaticali: le rende, al contrario, più pratiche (per cui Blackie utilizza il termine serviceable); esso fornisce strumenti per i più complessi problemi di accuratezza stilistica nella lingua scritta.

«Prima la fluidità e poi la precisione. Questo è l’ordine naturale. Un uomo deve avere le unghie, prima di potersele limare» (p. xvi).

Quindi Blackie espone ulteriori vantaggi del suo metodo: lo stile dialogico è tipico della prosa greca, e dunque abituare gli studenti ad esso significa abituarli alla comprensione e alla fruizione più piena delle opere dei più grandi autori della classicità greca. Inoltre, dato che la terminologia scientifica è in massima parte di matrice greca, sarà utilissimo per gli studenti apprendere dalla viva voce del docente di greco i nomi di animali, piante, minerali e fenomeni naturali, così come molti termini della biologia e della medicina. E infatti molti dialoghi del libro vertono su tali argomenti.

Infine, riguardo le obiezioni mossegli, Blackie nota che (escludendo quelle in malafede, dettate da pigrizia mentale, sciatteria o becero conservatorismo dei docenti) esse per lo più provengono da persone che o non hanno considerato la cosa in modo serio o, per mancanza di esperienza pratica, non sanno come il metodo realmente funzioni. Certo, ci vuole molto impegno e molto entusiasmo da parte del docente, ma

«non c’è lavoro che richieda più energia e più entusiasmo dell’insegnamento; e chi non insegna con passione non insegnerà mai con successo» (p. xix).

Blackie è convinto comunque che tutte le perplessità sul metodo svaniranno alla prova dei fatti; basterà un po’ di pratica svolta con onestà e coraggio:

«è così con tutte le attività pratiche. Per essere conosciute, esse vanno sperimentate» (ibid.).

E a queste parole aggiunge:

«naturalmente io so nella pratica che non vi è alcuna difficoltà nel fare ciò che io faccio abitualmente nella mia classe» (pp. xix-xx).

Ed infine, a quanti sostengono l’inutilità di saper parlare lingue non più parlate, Blackie ribatte:

«Io non pratico la descrizione di oggetti in greco, e la conversazione in greco, come un fine, ma come un mezzo; e ho sperimentato che questa pratica non solo non pregiudica le attività di lettura e scrittura, […] ma […] le facilita immensamente e le migliora entrambe. Infatti, è l’unica via veramente efficace per far sì che le lingue insegnate si trasformino in sangue e ossa del discente nel più breve tempo possibile, e con il maggior profitto»

(p. xx).

Lorenzo Sciajno


Per leggere e scaricare il testo di John Stuart Blackie in pdf, clicca qui.


2 pensieri su “Insegnare il greco parlando in greco: l’esempio di John Stuart Blackie

  1. Pingback: Pregiudizi da sfatare sul Metodo Natura | GrecoLatinoVivo

  2. Rileggo più volte con prepotente commozione questo articolo che condivido pienamente e che, sia pur conosciuto da poco, già da tempo però incarna il mio orientamento di docente di lingue classiche. Grazie a chi l’ha scritto e ha chi ha divulgato l’operato del Professore Blackie.

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