“Un teschio non troppo dissimile agli altri”.
Questo rimane di Elena secondo Luciano di Samosata1: e Menippo, protagonista del dialogo, si chiede come sia possibile che tanti uomini abbiano tanto sofferto ‘per un bel faccino’.

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La bellezza di Elena non passava certo inosservata e lo dimostra la sua apparizione alla torre delle porte Scee, nel terzo canto dell’Iliade. I compagni di Priamo, valorosi ex combattenti, pensano che, per quanto bella come una dea, se ne dovrebbe andare, avendo portato troppa rovina:
Non è forse uno sdegno che i Troiani e gli Achei belli schinieri
per una donna simile, per tanto tempo, subiscano lutti;
nell’aspetto somiglia terribilmente alle dee immortali,
ma, pur essendo siffatta, se ne vada sulle navi,
né qui rimanga, sventura per noi e per quelli dopo di noi.(Omero, Iliade, III, vv. 156-160)
Priamo reagisce a queste parole, affermando che non è colpa di Elena, ma degli dei, se una tale rovina ora si abbatte sulla città di Troia:
Per me non sei colpevole tu, ma gli dei lo sono,
loro che la guerra luttuosa degli Achei. mi scatenarono contro.(Omero, Iliade, III, vv. 164-165)
È dunque sulla bellissima figlia di Zeus che talvolta cade lo stigma della colpa: ha causato lei o no la guerra di Troia? È lei la causa della guerra o ne è soltanto il pretesto, lo strumento inconsapevole della volontà divina?
A questa domanda non esiste una risposta certa. Bisognerebbe avere la fortuna di Menippo, incontrarla nell’Ade e chiederlo a lei, perché il ritratto di Elena che riusciamo a ricostruire dai poemi omerici è sfaccettato e non può ridursi né a delineare una femme fatale né un’inconsapevole marionetta nelle mani degli dei. A dimostrarlo c’è la scena in cui riconosce Afrodite, sopraggiunta con le sembianze di una filatrice per mandarla a consolare Paride che ha appena perso il duello con Menelao.
Le parole di Elena sono aspre. Al di là del timore di essere nuovamente ricondotta a Menelao, è importante notare come non abbia intenzione di essere ulteriormente usata da Afrodite:
Forse ancora più in là, fra le città ben popolate
mi condurrai della Frigia o dell’amabile Meonia
se anche là v’è uno a te caro tra gli uomini?(Omero, Iliade, 400-403)
Dunque Elena non si comporta come una spettatrice passiva di un destino voluto da altri e per lei scelto da altri: se lei è a Troia è a causa del legame tra Paride e Afrodite, ma non vuole più essere uno strumento della dea, a cui si ribella con veemenza.
Per ironia della sorte – forse sarebbe meglio dire della storia – alla fine Elena tornerà con Menelao. È proprio a lei e al marito che fa visita il giovane Telemaco, accompagnato dal figlio di Nestore, in cerca dell’amato padre.
Qui vediamo un’Elena diversa da quella dell’Iliade: è tornata a casa ed è a suo agio nel ruolo di sposa, di madre e di ospite. Durante il banchetto una coltre di mestizia aleggia su tutti gli ospiti, Elena pensa bene allora di versare una strana sostanza, un pharmakon, che rechi gioia a chiunque ne beva, scacciando d’un colpo i tristi pensieri2.
Ma Elena non è una strega qualunque, una maga. Cosa aggiunge al pharmakon? Un racconto che ha come oggetto proprio Odisseo e la sua scaltrezza: al fine di portare notizie sulla città agli Argivi, l’eroe si traveste e penetra nella città, ma viene riconosciuto da Elena, che giura solennemente di non rivelare l’identità del mendico. E allora Odisseo, fidandosi, le rivela il piano degli Achei. Poi, compie una strage di guerrieri Troiani e le donne sono afflitte, ma Elena no. Lei ha deciso di voler tornare a casa.
Dopo aver ucciso molti tra i Troiani col bronzo affilato
fece ritorno tra gli Argivi, portava con se molte notizie
Le altre Troiane gemevano profondamente; ma il mio petto
era contento, dopo che il cuore già s’era volto a ritornare
a casa, e piangevo la rovina che Afrodite
mi assegnò, quando mi condusse laggiù dalla patria amata
abbandonata mia figlia, il talamo e lo sposo
a nessuno inferiore per intelletto ed aspetto.(Omero, Odissea, IV, vv. 257-264)
È pure vero che successivamente Menelao la ritragga complice dei Troiani, impegnata a imitare la voce delle loro spose per farli scendere dal cavallo 3, ma non dobbiamo interpretarle come accuse: quei racconti hanno la funzione di pharmaka e quindi devono porre rimedio alla lontananza tra Odisseo e tutti quegli uomini che hanno motivo di ricordarlo e amarlo. Ancora una volta è lui a salvare la situazione, tappando la bocca ad Anticlo che stava per rispondere al grido di Elena.
Ed ecco che la donna troppo spesso ridotta a spettatrice o, peggio ancora, causa d’una guerra sanguinosa, assume dei connotati più umani e una consapevolezza di sé che difficilmente siamo portati ad associare a lei. Quel che abbia fatto o non abbia fatto, se fosse un personaggio ‘buono’ o ‘cattivo’ non ci è dato dirlo: il mito su di lei costruisce mirabolanti storie e rielaborazioni. La bellissima Elena non cessa mai di stupire, anche se è un teschio nell’Ade.
Autore
Giulio Bianchi
Centro Nazionale di Studi Classici GrecoLatinoVivo
Illustratrice
Giovanna Marsilio
- Luciano, Dialoghi dei morti, XVIII. ↩
- Omero, Odissea, IV, vv. 219-226. ↩
- Omero, Odissea, IV, vv. 274-289. ↩
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