Paride è sicuramente un eroe non convenzionale: fin dalla sua prima apparizione nell’Iliade, si caratterizza per la sfrontata bellezza che però non corrisponde a grandi abilità belliche. Alla fine dell’Iliade la guerra di Troia viene imputata a lui e alla sua scelta, dettata dalla lussuria, di favorire Afrodite… non tutti, però, sono d’accordo.

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La guerra di Troia non comincia con l’Iliade, che anzi si sofferma sulle sue fasi finali, senza per altro raccontare la fine della città, che conosciamo soprattutto grazie a Virgilio.
La selezione delle tematiche è una delle caratteristiche principali dell’epos omerico, che del resto vediamo articolarsi ora attorno all’ira (menis) di Achille, ora attorno alle vicende di un uomo d’ingegno plurimo, cioè Odisseo.
Per ricostruire tutta la storia del ciclo troiano possiamo ricorrere alle rielaborazioni successive di altri autori e servirci dei frammenti che talvolta si riescono ad estrarre da altre opere che ci sono giunte.
È però più che lecito chiedersi come e quando sia cominciata la guerra di Troia e una risposta, pur parziale, la troviamo direttamente nell’Iliade.
Gli dei discutono se sia opportuno sottrarre il corpo di Ettore ad Achille e in molti sono favorevoli a restituire l’eroe ai suoi, dopo lo scempio di Achille. Alcuni di loro, però fanno sentire la loro voce – e sono i grandi nemici di Troia, cioè Poseidone, Era e Atena – adducendo come motivo dell’odio e dunque causa della guerra la scelta di Paride, che, nella famosa contesa tra le dee, avrebbe scelto di premiare Afrodite perché offuscato dalla lussuria:
A tutti quanti gli altri dei ciò piaceva, certo non a Hera,
né a Poseidone né alla vergine glaucopide,
ma come prima da loro era odiata Ilio sacra,
e Priamo e il suo popolo per colpa di Alessandro,
che insultò le dee, quando gli giunsero nella capanna
e lui apprezzò quella che a lui offrì la penosa lussuria.(Omero, Iliade, XXIV, vv. 25-30)
Nell’Iliade dunque vediamo come venga colpevolizzata la figura di Alessandro, cioè Paride, piuttosto che Elena. È interessante notare come l’eroe sia spesso menzionato con il nome di Alessandro e non con il nome di Paride che per noi è più familiare. Possiamo trovare una parziale spiegazione in Apollodoro1: la nascita di Paride fu accompagnata da un sogno funesto di Ecuba, che annunciava chiaramente che il nascituro sarebbe stato la causa della rovina della città. Il re dunque diede il compito a un suo servo, chiamato Agelao, di abbandonarlo nei boschi. Il bambino, però, sopravvive miracolosamente e il servo decide di adottarlo, dandogli il nome di Paride. Fu crescendo che gli venne dato il nome di Alessandro, che significa difensore di uomini, per la sua abitudine di difendere le greggi e gli altri pastori dagli assalti di fiere e briganti.
Paride fu riconosciuto dalla famiglia di origine in seguito ad un agone, ma è interessante vedere come dalle fonti sia chiaro che il destino di Troia sarebbe stato deciso da questo principe inconsapevole. Addirittura la sua prima sposa, la ninfa Enone, lo avverte di non andare alla volta di Sparta, ma lui vi si reca ugualmente, spinto da Afrodite e dal premio che la dea gli ha promesso.
Certo che queste dee così permalose non sono molto convincenti. Questa versione del mito, secondo Euripide, non avrebbe neppure convinto Ecuba, che in un confronto con Elena mette in ridicolo quest’idea che siano state delle divinità a ottenebrare la mente del figlio piuttosto che le lusinghe di una Elena che, in questo caso, appare proprio come una spietata femme fatale:
Non rendere sciocche le dee
cercando di abbellire la tua scelleratezza, non convincerai nessuno assennato.(Euripide, Troiane, 981-982)
Ed ecco che un episodio del mito diventa, per bocca di Ecuba, una bugia inventata da una donna meschina e infida, come del resto mostra di essere, all’interno di questa tragedia, Elena, che si rivolge ad Ecuba ricordandole che la colpa della guerra è in realtà sua: lei ha partorito Paride, quel bambino che le comparve in sogno come fosse un tizzone ardente – presagio dell’incendio e della distruzione della città.
Questo pur breve excursus sul giudizio di Paride e sulla sua figura ci dimostra di vedere ancora una volta il mito non sia scritto sulla pietra: il mito per gli antichi era materia viva e oggetto di continue reiterpretazioni – basti pensare alla famosa Palinodia di Stesicoro, che difese per primo, secondo la tradizione, Elena, a torto ritenuta causa della guerra.
La scena del giudizio delle dee (krisis tòn theòn) doveva trovarsi nei perduti Kypria che sicuramente sono stati d’ispirazione per molti autori che hanno ripercorso questa storia.
Di particolare impatto sono le parole di Paride presso Ovidio in cui vediamo delinearsi un amore in contumacia, che come un fuoco si consuma nell’assenza, quando Elena non è una donna, ma la promessa di una dea:
Da sveglio ti vedevo con gli occhi, di notte con con l’animo
quando gli occhi riposano vinti da un sonno beato
Che dire poi del tuo aspetto di persona, di te che ancora non vista dal vero mi piacevi?(Ovidio, Heroides, XVI, vv. 101-104)
Dunque nel ritratto di Ovidio Paride altro non è che un mite principe cresciuto nei boschi. Ha scelto Afrodite e il suo dono perché gli altri doni, i regni di Giunone o il coraggio di Atena, sono, come gli fa notare la dea dell’amore, pieni di angoscia (plena timoris)2 e lei torna all’Olimpo vincitrice perché il premio che ha promesso a Paride rende giustizia tanto alla bellezza della dea quanto a quella dell’amore.
Al dì la del lavorio delle Parche, dunque, è certo che Paride fosse innamorato di Elena.
autore
Giulio Bianchi
CNSC GrecoLatinoVivo
illustratrice
Giovanna Marsilio