Ettore: noi in difesa degli altri

La figura di Ettore riassume in sé il senso dell’eroismo di ogni tempo, mostrando come per essere eroi non sia necessario vincere quanto non arrendersi e combattere sempre per un fine, mai per se stessi.


Ettore, illustrazione di Giovanna Marsilio.
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L’umanità ha sempre parlato di eroi. Persone straordinarie, fuori dalla media, che per una ragione o per un’altra si sono trovate a dover combattere.
I primi eroi che spesso incontriamo nell’infanzia sono quelli delle fiabe: pensiamo ai bellissimi libri illustrati che hanno colorato l’infanzia di molti di noi, pieni di lance e spade, di missioni impossibili e di personaggi straordinari.

L’immagine dell’eroe è associata indissolubilmente al combattimento, ed è per questo motivo che molti personaggi dell’Iliade sono chiamati Eroi.
Ma le capacità militari non sono l’unica caratteristica di un eroe omerico, nello stesso modo in cui i superpoteri non bastano per dare vita a un supereroe, per quanto rimangano importanti, come ci dimostrano le parole che Sarpendonte rivolge ad Achille mentre i Troiani sono incalzati da Diomede. L’alleato dei Troiani, vedendo il principe esitare, gli ricorda che era lui a dire che gli alleati della città assediata non erano fondamentali, che sarebbe lui con i suoi fratelli e i suoi cognati per difendere la città:

«Ettore, dove è finita la baldanza, che prima avevi?
Dicevi di poter difendere la città senza uomini e alleati,
da solo, coi cognati e i tuoi fratelli»

(Omero, Iliade, V, vv. 473-474)

Le parole di Sarpedonte colgono nel segno ed Ettore incalza i Greci. Tra queste parole è particolarmente importante segnalare l’uso del verbo echo nel senso di difendere, dal momento che è da questa radice che ha origine il nome di Ettore, che infatti significa “colui che tiene la città” e che dunque la protegge.

Ed è questo, in sostanza il ruolo che Ettore ricopre nel poema, come dimostrano alcune parole che Andromaca gli rivolge al momento dei suoi funerali con cui si chiude l’intero poema:

[…] infatti questa città sarà prima annientata
completamente, ché sei morto tu, guardiano,
tu che la preservavi per noi, che tutelavi (eches) le mogli illustri e la giovane prole.

(Omero, Iliade, XXIV, 728-730)

Il ruolo di Ettore è quello di difensore, tant’è che quando cade lui tutti quanti sanno benissimo che anche la caduta della città si avvicina, come dimostrano queste parole di Andromaca1.

Sarebbe molto facile dire che Ettore fallisce, perché tutti sappiamo che cosa accade alla sua città e alle persone che ha amato. Eppure, in qualche modo, la funzione di Ettore viene ereditata da Enea, cui difatti comparirà in sogno per affidargli i Penati e con essi il destino della città:

«Fuggi, fuggi», disse, «figlio di dea e sottraiti a queste fiamme.
Il nemico tiene le mura; dalla sua altezza crolla Troia.
Abbastanza è stato dato alla patria e a Priamo: se Pergamo con una spada
avesse potuto esser difesa, sarebbe stata la mia.
Troia santa ti affida i suoi Penati;
prendili come compagni del futuro, per loro cerca mura
che farai costruire imponenti, dopo aver vagato per il mare.»

(Virgilio, Eneide, II, vv. 289-295)

Vediamo da queste poche parole – parole di un’ombra, di un sembiante diverso dall’eroe imponente e più simile al corpo straziato che Achille restituisce a Priamo – che la distruzione di Troia è stata decisa dagli dei e, arrivati a un certo punto, al punto in cui la città è in fiamme e crolla sotto il peso dei nemici, non ha più senso combattere.

Ma, allora, per quale motivo combattere? Per quale ragione continuare a lottare, quando si lotta con un destino segnato? Perché, appunto, l’importante non è vincere, ma dare prova di valore, come dimostrano le parole di Ettore ad Andromaca:

Donna, anche io ho a cuore tutte queste cose, ma terribilmente
mi vergogno davanti ai Troiani e alle Troiane bei pepli,
se, come un vigliacco, mi tengo lontano dalla battaglia:
né me lo consente il cuore, ché ho imparato a essere forte
sempre e a combattere in prima fila con i Troiani, ottenendo grande gloria per me e per il padre.

(Omero, Iliade, VI, 441-446)

In questi pochi versi vediamo come Ettore, da vero eroe, non combatta soltanto per sé e per la sua gloria, ma tiene bene a mente per chi combatte: per il suo popolo, per la sua famiglia, per il kleos, la gloria, indipendentemente dal risultato finale, indipendentemente dalla vittoria, perché è vinto solo chi si arrende.

Autore
Giulio Bianchi
CNSC GrecoLatinoVivo

Illustratrice
Giovanna Marsilio

  1. Strazianti e bellissime le parole della sposa devota al compianto funebre del marito, che possiamo leggere in Omero, Iliade, XXIV, vv. 725-745.

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