Attraverso le suggestioni offerte dalla lettura della Vita di Teseo di Plutarco si riesce a vedere come la memoria del mito non sia statica, ma oggetto di continue revisioni e reinterpretazioni.

Illustrazione di Giovanna Marsilio
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Abbiamo lasciato Teseo poco lontano da Atene con la mente annebbiata per effetto delle preghiere di Arianna, abbandonata a Nasso. La punizione che Arianna chiede per lo smemorato amante, nella struggente rielaborazione catulliana, ristabilisce una sorta di equilibrio, con il giovane principe ateniese che diventa vittima della sua stessa memoria.
Il mito stesso è una forma di memoria collettiva ed è facile che le vicende dei tanti eroi che popolano l’immaginario greco ci sembrino certe come è certo che il lupo ha mangiato la nonna di Biancaneve o che Peter Parker è l’Uomo Ragno. La realtà però è ben diversa perché il mito nella cultura antica non era un dato di fatto, ma un vero e proprio laboratorio di memorie.
Nella Vita di Teseo di Plutarco abbiamo anche il racconto delle vicende legate all’abbandono di Arianna, ma ci troviamo di fronte a un racconto diverso da quello cui siamo abituati, in particolare per quanto riguarda una variante locale del mito.
Alcuni tra gli abitanti di Nasso raccontano, in modo del tutto paricolare, che vi furono due Minosse e due Arianne, delle quali affermano che una sia andata in sposa a Dioniso […] mentre l’altra, più giovane, rapita da Teseo e abbandonata, sia giunta a Nasso, e che insieme a lei ci fosse anche una sua nutrice, di nome Corcina, della quale viene mostrata la tomba. Dicono che questa Arianna sia morta lì e che le vengano resi onori diversi dalla precedente. Infatti per la prima si celebrano feste in allegria e spensieratezza, mentre per questa si celebrano sacrifici nel lutto e nella tristezza.
(Plutarco, Vita di Teseo, 20.8)
Ma in precedenza Plutarco non ha mancato di segnalare come i fatti di Teseo e Arianna siano stati oggetto di continue rielaborazioni e addirittura di un intervento esterno.
Esistono ancora molte narrazioni riguardo a questi fatti e circa Arianna, che non hanno nulla in comune. Alcuni affermano che Arianna si sia impiccata dopo essere stata abbandonata da Teseo, mentre altri che, accompagnata a Nasso da alcuni marinai, si sia unita a Onaro, il sacerdote di Dioniso, e sia poi stata abbandonata da Teseo, innamorato di un’altra donna: «un’amore violento lo consumava per Egle figlia di Panopeo». Erea di Megara afferma che Pisistrato espunse questo verso dai poemi di Esiodo, come reinserì nella nekyia di Omero il verso «Teseo e Piritoo, illustri figli degli dèi.»
(Plutarco, Vita di Teseo, 20.1-2)
In questo passo vengono portate diverse problematiche che cerchiamo di analizzare con calma: Arianna potrebbe essersi sia impiccata dopo l’abbandono o addirittura essersi ‘accasata’ con un sacerdote di Dioniso e in seguito legittimamente lasciata da Teseo che si era innamorato di un’altra donna. Questo amore per Egle sarebbe stato dichiarato da Esiodo ma il verso in questione, che Plutarco riporta, sarebbe stato espunto – cioè tolto – da Pisistrato, quando rivolse le sue cure editoriali anche al corpus esiodeo. La notizia non è del tutto infondata, visto che sappiamo bene che Iliade e Odissea furono oggetto di una ‘revisione’ pisistratea e non è inverosimile che il tiranno avesse deciso di far passare sotto il proprio nome anche l’edizione dei poemi di Esiodo, l’altro grande ‘poeta nazionale’ greco, tutto questo prima che i filologi alessandrini rimettessero le mani sui poemi e cercassero, con criteri fondati, di ricostruire il testo omerico.
È legittimo chiedersi, del resto, per quale motivo Pisistrato avrebbe fatto togliere proprio quel verso. Possiamo interrogarci su questo e tenere presente un dato di fatto: oggi come allora, Teseo non fa proprio una gran figura, anzi. E molti poeti, tra cui Ovidio e Catullo, preferiscono dare voce ad Arianna piuttosto che a questo ‘smemorato’.
Purtroppo non si tratta di uno smemorato qualunque, ma del fondatore di Atene: a lui, infatti, è attribuita tradizionalmente l’iniziativa dell’unificazione dell’Attica attraverso il synoikismòs, il sinecismo, come possiamo leggere in Tucidide (II, 14-15) ed è quindi a ragione considerato il ‘padre’ di Atene, per quanto la città esistesse da ben prima, che per la sua opera divenne la dimora eletta degli abitanti dell’Attica.
A rischio di essere riduttivi, possiamo continuare a leggere Plutarco e considerare il ruolo che viene riconosciuto a Teseo (Vita di Teseo, 24): egli non si limita a synoikizein cioè a far coabitare gli abitanti dell’Attica in una sola città ma addirittura arriva a proporre «ai ricchi una costituzione senza re e e un regime democratico.»
Sarebbe facile dire che Plutarco qui la spara grossa e che la democrazia ad Atene nasce con la riforma di Clistene (508-507 a.C.) come abbiamo tutti quanti imparato a scuola. Perché in realtà questo è un esempio di come una memoria possa essere distorta, non solo nell’ambito del mito, ma anche nell’ambito della storia: la democrazia non ha mai vita facile e attribuirla al mitico fondatore di Atene – che, sempre secondo Plutarco, le avrebbe attribuito il nome – significava darle maggiore dignità e, soprattutto, un’antichità paragonabile se non superiore a quella della costituzione di Sparta. Queste rielaborazioni, dunque, non sono figlie della ‘penna’ di Plutarco, quanto della vita di quella città di cui Teseo si trovò a essere non uno dei tanti re, ma l’eroe fondatore.
Autore
Giulio Bianchi
CNSC GrecoLatinoVivo
Illustratrice
Giovanna Marsilio