La lezione del πάθει μάθος (pathei mathos)

Un momento difficile per riscoprire il valore della libertà quotidiana. Un abbraccio per tutti gli studenti che si sono laureati, spesso anche in videoconferenza, lontani da quegli affetti che hanno spesso sacrificato sé stessi per dare ai figli un’occasione di crescita.


di Giampiero Ruggiero – docente presso Istituto Rita Levi Montalcini, Casarano (Lecce)

Come pellegrini sicuri e baldanzosi nel bel mezzo del nostro viaggio, siamo stati improvvisamente travolti da una bufera che si era preannunciata come un breve e passeggero piovasco. Eppure un nemico minuscolo e invisibile è riuscito a metterci in ginocchio, paralizzando l’intero sistema economico-sociale su scala nazionale e mondiale e bloccando una società che fino ad ora era fiera d’essere veloce e dinamica, se non a volte fin troppo iperattiva.

Mai come ora ci siamo sentiti fragili e sospesi ad un filo, angosciati dalla minaccia del contagio, dalla sofferenza dei nostri simili, dalla paura della morte, che al pari di una falce ha continuato impietosamente a mietere ogni giorno le sue vittime.

Ma, per dirla con Eschilo, “πάθει μάθος”: in questo bagno di sofferenza abbiamo acquisito la consapevolezza un po’ tardiva della nostra alienazione esistenziale: solo ora, infatti, che la corsa si è arrestata, abbiamo riscoperto la bellezza della libertà, non già quella roboante con la lettera maiuscola dei grandi ideali civili o politici, ma quella modesta con la lettera minuscola, fatta di quotidianità, di piccole abitudini private, di normalità. È proprio così, “in absentia praesentia”: è nell’assenza che si scopre e si comprende veramente l’essenza delle cose e delle persone. Con la stessa perspicacia di un Epimeteo, solo ora apprezziamo la bellezza di una passeggiata, di un incontro, la gioia di un saluto, di un abbraccio, il sapore di una chiacchierata, di una cena in compagnia. Questa segregazione coatta ci ha fatto capire quanto priva di retorica e non scontata sia la definizione aristotelica dell’essere umano come ζῷον πολιτικόν; mai come adesso si è risvegliato prepotente il desiderio di socialità, il desiderio dell’altro, la voglia di un contatto fisico e non virtuale. Anzi, proprio la perdita repentina del rapporto reale ha messo a nudo l’angustia e l’inadeguatezza dei contatti virtuali.

Tutti, docenti e discenti, hanno assaporato il gusto amaro del vuoto e della lontananza, la tristezza di un vuoto in cui anche la voce online dei mezzi informatici risuona fredda e incolore, come quei visi stampati sullo schermo ombre piatte e inespressive di quelli che erano parte della nostra vita. Ed è soprattutto ai colleghi e agli alunni che mi rivolgo: la scuola è sicuramente il luogo sociale e culturale che più di ogni altro ha sofferto e soffre il problema dell’assenza. Il processo di insegnamento-apprendimento è un binomio in cui giocano un ruolo importante non solo la mente e lo spirito, ma anche il corpo e i gesti. D’altra parte, per dirla con Cicerone, a cosa servirebbe conoscere e sapere le cose più belle di questo mondo e di questa vita, se non avessimo vicino a noi un’altra persona cui poterle dire, raccontare e insegnare? In questi giorni, tra il rumore di tante polemiche sterili e inutili, ecco come mi sono sentito, come un albero monco dei suoi rami. In questo momento, però, voglio tributare un omaggio, un pensiero ai tanti studenti che con tenacia e a dispetto della drammatica congiuntura proseguono il loro percorso di studi e che proprio in questi giorni stanno coronando (e scusate la scelta del termine, che comincia a risuonare ormai nefasto a tutti!) il loro sogno, il raggiungimento della laurea.

E mi rivolgo a te, Francesca (il nome non è fittizio, però in questo momento assurga a simbolo di quanti come te vivono la stessa esperienza): per tutti quelli che lo hanno vissuto il giorno della laurea è indimenticabile, ma per te lo sarà ancora di più. Di più, perché avrai dovuto affrontare le emozioni e le ansie del prima, del durante e del dopo da sola, sola nello spazio di quattro mura, fuori dalla tua università per anni frequentata, lontana dai tuoi affetti più cari, anch’essi soli; di più, perché penserai alla tua mamma, sola anch’essa, che ti pensa sola e ti guarderà a distanza senza la possibilità di abbracciarti per condividere la gioia di questo momento tanto atteso e vagheggiato; di più, perché dovrai solo immaginare per tutta la vita come sarebbe stato questo giorno se le cose fossero andate altrimenti e perché vedrai cadere quelle immagini così accarezzate nella tua mente quando pensavi al giorno del traguardo. Non era questo che immaginavi, non era questo che volevi.

Non posso non pensare al bellissimo passo manzoniano dell’ “Addio monti, in cui Lucia, mentre lascia la sua Pescarenico, volge un ultimo sguardo a quella casa e a quella chiesa dove chissà quante volte nella sua mente si era prefigurata un futuro “perpetuo e tranquillo” di sposa e di madre. Ma vorrei concludere con l’ottimismo e la fiducia che lassù qualcuno, se c’è Qualcuno, non turbi “la gioia dei suoi figli, se non per prepararne loro una più certa e più grande”. D’altra parte anche il pagano Orazio rivolgendosi all’amico Licinio (Ode 10, II) gli rammentava con saggezza che “non, si male nunc, et olim sic erit”; infatti “informis hiemes reducit /Iuppiter, idem submoves”. Perciò, a te che sei stata alunna delle Muse classiche, a te che ricordo ancora adolescente nei luoghi del nostro Liceo, e a al presente dottore in medicina rinnovo il monito oraziano alla forza, tanto in questa avversità quanto in quelle future, che la tua professione a volte riserba: “rebus angustiis animosus atque fortis adpare”.

I miei più affettuosi auguri!!

Prof. Giampiero Ruggiero

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